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martedì 18 febbraio 2014

Plasticità cerebrale


La plasticità cerebrale è la potenzialità del cervello di variare funzione e struttura non solo durante il suo periodo di sviluppo, ma anche durante la vita adulta. Le caratteristiche morfologiche e funzionali dei circuiti nervosi, influenzabili per l’interazione con il mondo esterno, sono molto diverse nel periodo di formazione e di sviluppo delle strutture del sistema nervoso e nel periodo in cui questo raggiunge la maturità. Durante lo sviluppo avviene principalmente una selezione di circuiti neuronali con l’eliminazione di altri, all’inizio ugualmente probabili. Ciò avviene su base genetica e su segnali interni (attività elettrica neuronale e fattori neurotrofici). Durante la vita adulta molti di questi circuiti nervosi rimangono sostanzialmente stabili, o poco influenzati dall’esperienza. Le popolazioni di neuroni continuano invece a mantenere una loro dinamicità mostrando la possibilità di riorganizzarsi, in maniera stabile o transitoria, sotto l’influenza degli stimoli esterni, per rispondere a esigenze particolari, sensoriali o motorie, dell’individuo.

Durante lo sviluppo, il numero di neuroni viene drasticamente ridotto per morte neuronale; successivamente rimane sostanzialmente stabile, mentre gli alberi dendritici, le terminazioni assoniche e le loro connessioni possono subire ancora variazioni. Sia nel sistema nervoso periferico sia in quello centrale, inoltre, sono state descritte variazioni spontanee dei contatti sinaptici. Ogni processo di apprendimento e ogni stato di pensiero, implicano a livello strutturale o funzionale una variazione di qualche circuito nervoso. L’espressione di uso quotidiano «cambiare idea» ha un suo corrispondente neurobiologico ben preciso, e significa «cambiare il proprio cervello».

Plasticità sinaptica. L’attività sinaptica è altamente plastica: si adatta cioè alle necessità fisiologiche e protegge l’SNC dagli effetti della stimolazione eccessiva. L’adattamento può avere luogo a livello sia presinaptico (fusione di vescicole) sia postsinaptico (attivazione recettoriale ed eventi a valle). Una prima regolazione dipende già dal livello del potenziale di riposo nelle rispettive membrane. I neuroni inibitori (abbondanti soprattutto tra i neuroni piccoli, cosiddetti interstiziali), attraverso specifici neurotrasmettitori e relativi recettori, aumentano il potenziale elettronegativo delle membrane neuronali e le rendono così meno sensibili alle specifiche depolarizzazioni indotte, rispettivamente, dai potenziali d’azione e dall’attivazione di recettori stimolatori. Per plasticità si intendono però soprattutto le modifiche di funzionalità che si realizzano in una sinapsi in relazione alla sua stessa attività. A seconda della durata esse si distinguono in plasticità a breve e a lungo termine, cioè in variazioni della risposta che vengono mantenute per pochi secondi oppure per lunghi periodi, fino a diversi giorni. Questi processi, che pure sono transienti, possono modificare significativamente il flusso delle informazioni in un circuito neuronale e avere quindi grande importanza fisiologica.Oggi si studiano le forme prolungate di plasticità, chiamate potenziamento a lungo termine (LTP, Long Term Potentiation) e depressione a lungo termine (LTD, Long Term Depression), rivelate dal persistente aumento o diminuzione della risposta a uno stimolo standardizzato. Riconosciute in numerosi tipi di neuroni glutammatergici, esse sono considerate i meccanismi base per l’immagazzinamento delle informazioni. Per l’induzione di questi processi, la sinapsi deve ricevere una serie di stimoli in rapida successione. Se la frequenza di questi stimoli è alta, per esempio 100 Hz, potrà svilupparsi una LTP, se sarà bassa (inferiore a 10 Hz) si svilupperà una LTD. In questo caso la plasticità non riguarda solo il terminale presinaptico ma la sinapsi nel suo complesso. La stimolazione della struttura postsinaptica da parte del glutammato, con aumento della concentrazione del Ca2+, induce infatti l’immediato invio di un segnale retrogrado, costituito probabilmente dal messaggero gassoso NO (ossido di azoto).L’integrazione temporale dei vari processi di segnalazione bidirezionale permette alla sinapsi di modificare il proprio programma funzionale attivandone uno più (o meno) efficace di quello base, in termini sia di fusione di vescicole (attività presinaptica) sia di ricezione del segnale del neurotrasmettitore (attività postsinaptica). In seguito il programma modificato viene stabilizzato (per giorni) anche grazie a specifiche variazioni dell’espressione genica, e l’informazione stabilizzata può così indurre la comparsa di modifiche anche irreversibili in aree lontane del cervello.

Memoria. Le diverse forme di immagazzinamento mnemonico si accompagnano a differenze nella forza e nella struttura delle connessioni sinaptiche. Sono stati descritti, tanto per i processi impliciti quanto per quelli espliciti (➔ memoria), due tipi di meccanismi di registrazione mnemonica. La memoria breve, che si protrae per alcuni minuti o alcune ore, comporta un’alterazione dell’efficienza delle connessioni sinaptiche preesistenti, determinata dalla modificazione covalente delle proteine preesistenti. Per contro, la memoria a lungo termine, che si protrae per giorni, settimane o anni, si associa alla crescita di nuove connessioni sinaptiche avviata da un programma di espressione genica che può essere indotto dal cAMP e dalla sintesi di nuove proteine.

http://www.treccani.it/enciclopedia/plasticita-cerebrale_(Dizionario-di-Medicina)/


Noi siamo il nostro cervello (Dick Swaab)

Dick Swaab

Dick Swaab è tra i più influenti scienziati olandesi.
È stato direttore dell’Istituto Olandese di Ricerca sul Cervello fra il 1978 e il 2005 e nel 1985 ha fondato la Netherlands Brain Bank (Banca Olandese del Cervello), un archivio dati che ha avuto e ha tuttora l’obiettivo di fornire dati per le ricerche cliniche e neuropatologiche. Dal 1979 è docente di Neurobiologia alla Facoltà di Medicina dell’Università di Amsterdam.
È autore di articoli scientifici. Ha svolto seminari presso la Anhui Medical University a Hefei, la Capital University of Medical Sciences di Pechino e laStanford University. È professore emerito presso il Max Planck Institut für Psychiatrie a Monaco.

Nel 2010 Swaab ha deciso di raccogliere il suo bagaglio di conoscenze in un libro che in Olanda è diventato subito un best seller e in Italia è stato tradotto nel 2011 da Elliot Edizioni con il titolo “Noi siamo
il nostro cervello”. Il libro traccia un quadro ampio e articolato del funzionamento del cervello, affrontando una vasta serie di argomenti, a partire dalla gestazione per arrivare alla fine della vita. In capitoli brevi a carattere divulgativo vengono trattati sia gli aspetti classici – come il funzionamento della memoria, i disturbi neuropsichiatrici, le malattie degenerative – sia le questioni di grande attualità, come l’identità di genere e la transessualità. Nel 1985, infatti, Dick Swaab ha conquistato le prime pagine dei quotidiani internazionali con l’articolo, pubblicato sulla rivista Science, in cui dimostrava l’esistenza di differenze rintracciabili nell’ipotalamo fra eterosessuali e omosessuali.

Noi siamo il nostro cervello
Intervista al neuroscienziato olandese Dick Swaab.

Professor Swaab, la prima parte del suo libro è dedicata allo sviluppo del cervello prima della nostra nascita. Quanto è importante questa fase della nostra vita?
A partire dall’utero materno, e proseguendo nei primi anni dopo la nascita, il nostro cervello si sviluppa ad altissima velocità creando una rete di 100 miliardi di neuroni che si sviluppa per una lunghezza complessiva di 100.000 chilometri. L'unicità del nostro cervello dipende dall’informazione genetica racchiusa nelle nostre cellule e da tutti i fattori che in qualche modo hanno interagito con il nostro cervello durante le fasi precoci dello sviluppo. Per questo motivo la maggior parte dei nostri tratti caratteristici, talenti e limiti, vengono impressi in questa fase precoce della nostra esistenza: dalla personale attitudine a essere persone più attive al mattino o alla sera, al nostro grado di spiritualità, dall’attitudine a diventare nevrotici, aggressivi, anti-sociali, anti-conformisti, alla possibilità di sviluppare malattie mentali come la schizofrenia, l’autismo, la depressione e la dipendenza.
Quanto avviene nel nostro cervello nei primi mesi di vita impone limiti interni che renderanno poi difficile, una volta adulti, modificare identità di genere, orientamento sessuale, aggressività, carattere, religione e lingua d’origine. Quindi la nostra unicità è dominata dal modo in cui il nostro cervello si è strutturato nel tempo. Noi siamo il nostro cervello.

Molti degli argomenti affrontati nel volume hanno a che fare con l’ipotalamo, facendo supporre che questa porzione del cervello sia il fil rouge di tutti i suoi studi. Ce lo conferma?
Direi di sì. L’ipotalamo è una struttura cruciale per la sopravvivenza di un individuo e della sua specie e inoltre svolge un ruolo determinante nella formazione dell’identità di genere e nell’orientamento e nel comportamento sessuale.

Dalle sue esperienze professionali si osserva come la ricerca sul cervello abbia dovuto abbattere forti tabù per poter fare dei passi avanti. Cosa può dirci in proposito?
Quando, con i miei collaboratori, abbiamo riferito della prima differenza riscontrata nel cervello degli uomini omosessuali rispetto a quelli eterosessuali, le reazioni sono state fortemente negative. Anche se ancora non mi sono chiare le ragioni di una risposta così emotiva, credo che il bagaglio lasciatoci dagli anni Sessanta e Settanta, un’epoca in cui si pensava di poter trasformare tutto e che ogni bambino venisse al mondo come un foglio bianco, abbia giocato un ruolo importante.
A distanza di 10 anni, l’uscita su Nature dell’articolo in cui riferivamo della prima inversione di una differenza sessuale nei transessuali, è stato accolto da reazioni soprattutto positive. La scoperta è stata subito utilizzata dai transessuali per ottenere una diversa indicazione del sesso nel certificato di nascita o sul passaporto. Il nostro articolo è stato utilizzato a tale scopo anche presso la Corte europea di giustizia e in Inghilterra ha contribuito alla promulgazione di norme legislative in materia. La società era pronta. Attualmente vengono pubblicati molti articoli sulle differenze che il cervello umano presenta in relazione all’identità di genere e all’orientamento sessuale senza che questo crei sconcerto nella società.

Quale prevede sarà il versante di ricerca che nei prossimi anni evolverà più velocemente degli altri?
Nel mio libro parlo del rapido sviluppo della neuroterapia, la quale prevede per esempio il reperimento di cellule staminali, la terapia genica, la stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation, DBS), e una serie di dispositivi che mettono in relazione il cervello con un computer esterno, come i sistemi di supporto in caso di disabilità. È bene chiarire ai lettori che si tratta di sviluppi estremamente interessanti che non diventeranno applicazioni cliniche prima della prossima generazione di pazienti. Non creiamo false speranze.

Professor Swaab, lei ha fondato la Netherlands Brain Bank. Quali sono i reali vantaggi di studiare il cervello umano rispetto ai modelli animali?
Da quando 25 anni fa è nata la Netherlands Brain Bank, abbiamo fornito materiale documentato dal punto di vista clinico e neuropatologico a più di 500 progetti in 25 Paesi. Oltre a rappresentare l’intero quadro clinico di una malattia, cosa che i modelli animali riescono a fare in modo parziale, lo studio del cervello umano postmortem ci permette, grazie alle tecnologie dei microarray, di capire in che modo l’espressione genica contribuisce all’insorgenza di queste malattie e di ricavare le informazioni necessarie a individuare i bersagli per nuove e più efficaci strategie terapeutiche. Per esempio, solo grazie al materiale biologico umano abbiamo scoperto che nei transessuali si assiste al rovesciamento delle differenze sessuali a livello dell’ipotalamo. Come avremmo potuto valutare se un animale si percepisce maschio o femmina?

In base alla sua esperienza, quali motivazioni spingono le persone a donare il proprio cervello alla scienza?
Sono entusiaste dell’opportunità di poter contribuire al progresso scientifico; è un gesto di speranza per le generazioni future. Purtroppo, però, mentre i donatori affetti da malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, non mancano, è più difficile reperire i donatori sani o il materiale biologico di pazienti affetti da depressione, schizofrenia, disturbi alimentari. Una triste constatazione dal momento che con questi ulteriori contributi il progresso nella conoscenza di queste malattie sarebbe certamente più rapido.

Fonte:
Istituto Nazionale di Neuroscienze

lunedì 17 febbraio 2014

Leggo classici, quindi esisto

Leo clásicos, luego existo

Agotado de la urgencia en la comanda laboral o de la fugacidad en los vínculos líquidos, el hombre moderno tiene un arma secreta para ganar una batalla decisiva entre la guerra de la calle y la paz del espíritu: leer a Tolstoi. O a Dostoyevski. O a Cervantes. Que el ánimo se disponga a sumergirse en novelones de mil páginas y decenas de personajes: en los clásicos de la literatura está la "invención de lo humano", según la totémica definición del críticoHarold Bloom.

Ahora, un estudio publicado en la revista Science demuestra que leer los grandes clásicos aumenta la inteligencia emocional y la habilidad social. En épocas de textos a 140 caracteres, un desafío de resistencia para el lector fugaz: si hace unos años un best seller de autoayuda proponía "más Platón y menos Prozac" como la receta filosófica contra el trastorno de ansiedad generalizada, las novelas sagradas aguantan como un bastión de resistencia contra el imperio de lo efímero: un camino para ir en busca del tiempo perdido leyendo tuits o actualizando nuestro "estado" ante el interrogatorio diario del Facebook: "¿Qué estás pensando?".

Las conclusiones del estudio son contundentes: las personas que leen literatura seria tienen mayores niveles de empatía con los demás, percepción sobre los otros e inteligencia emocional.Ahí donde El jugador nos devele el sinsentido de desafiar el destino por medio del azar, o Muerte en Venecia nos advierta de lo inexorable de la decadencia, el lector tendrá una imaginación más fecunda y, sobre todo, una agudeza mayor para el desempeño social:acostumbrado a "tratar" con semejantes personajes, tendrá sus propias interpretaciones sobre la naturaleza humana y será más sensible a los matices de la complejidad de carácter. Lo cual será muy útil en el trabajo o en el amor. Si es cierto que todas las historias posibles ya fueron escritas y que cada nueva aventura es apenas una variación de los clásicos, en una oficina pública el hombre leído podrá reconocer los tormentos burocráticos que someten a un procesado José K. y en cualquier ama de casa insatisfecha, la posibilidad tramposa de una madame Bovary.

Aun en la dispersión que provoca cada "notificación" inútil de las redes sociales, todas con la misma urgencia admonitoria de una citación a la dirección de la escuela (e iguales consecuencias para la vida adulta: nulas), el hombre moderno puede disfrutar a Charles Dickens o Jane Austen con la emoción del reencuentro con un amigo del colegio: que lea de a diez páginas por día. Si quiere, más. Pero nunca menos. En el mismo tiempo que dedica a confirmar si el tema que discutió en el almuerzo es trending topic, podrá obtener los beneficios intangibles de la literatura y conocer a los personajes más fabulosos que hayan pasado por esta Tierra. Recién entonces alumbrará grandes esperanzas de tener, por fin, sensatez y sentimientos.

Harold Bloom: "El valor literario nunca es establecido por un crítico"

A los 82 años continúa siendo una de las figuras más influyentes de la literatura mundial. En esta entrevista reniega de su poder como mandarín cultural, confiesa su predilección por César Vallejo y Gabriela Mistral, afirma que Nicanor Parra merece el Nobel y descalifica el realismo mágico como "un disparate" música clásica se escucha desde afuera. Son las dos de la tarde en New Haven. Cerca de la calle Whitney, en uno de los más bonitos y tradicionales barrios de esta ciudad -sede de la Universidad de Yale-, vive una leyenda de la crítica literaria, Harold Bloom.La belleza de los árboles en el fin del otoño, la rusticidad elegante de su casa, de tres pisos y madera; la puerta sin llave, un auto antiguo en la puerta. La música que lo acompaña siempre. Son presagios de quien está más allá de la puerta, y grita "entre, está abierto", adivinando quién viene, sin miedo a nada.

Se para con su bastón, le cuesta caminar a sus 82 años, y se sienta de nuevo en su lugar favorito, la cabecera de la mesa de comedor, llena de libros, cartas y hojas amarillas de bloc, donde anota sus clases; los poemas que les dará a leer a sus alumnos y su agenda, que maneja con celo. Con un
a mano en el teléfono -no le gusta el mail sino el teléfono- y otra en su lápiz, anota cada compromiso y va revisando sus meses venideros. Aunque ya no tiene la vida vertiginosa de antes, sigue dando clases dos veces por semana. Este semestre brinda un curso sobre Shakespeare, y otro de poesía. Y recibe a sus alumnos durante la semana, en grupos de dos o tres, mientras la energía no se le agota.

Habla lento, pausado, a veces como susurrando, en un inglés perfecto y bien pronunciado, eligiendo cada palabra con precisión. Ofrece té y galletas, lo mismo que les prepara a sus alumnos. Su mujer por más de 50 años, Jeanne, atractiva, elegante, discreta, aparece y saluda. "Voy a dar un paseo", dice y se despide. Bloom se queda mirándola mientras se va.

Nacido en Nueva York y criado en el Bronx, Harold Bloom ha tenido una influencia inusitada en la escena literaria. Ha publicado más de 20 libros, traducidos a más de 40 idiomas, entre ellos La angustia de las influencias , Anatomía de la influencia y Shakespeare: La invención de lo humano . No sólo es uno de los intelectuales que más ha estudiado a Shakespeare, sino también la influencia de éste y otros autores sobre los demás. También, a través de su libro El canon occidental , ha sido figura clave en decidir quién está en el Olimpo literario mundial y quién no. Ganador de la beca para "genios", MacArthur Fellowship, en 1985, es Sterling Memorial Professor de la Universidad de Yale hace 57 años.

-¿Volvería a escoger a los mismos latinoamericanos en su canon occidental?

-No. No. Fue arbitrario. Yo quería escoger a dos autores latinoamericanos escribiendo en español profundamente influenciados por Walt Whitman. Si tuviera que hacerlo de nuevo ahora, probablemente incluiría a César Vallejo, que pienso que es mejor poeta que Neruda. Neruda, en sus mejores momentos, es destacable. Y Borges es un caso muy especial. Sus mejores trabajos no fueron poemas.

-¿Cuáles fueron?

-Esos extraños cuentos, que, a pesar de eso, los encuentro un poco repetitivos. Siguen cierto modelo. Él fue un escritor derivativo. Y tuvo la brillantez de ocultar eso enfatizándolo.

-¿Y qué pasa con Neruda?

-En su mejor momento evoca a Whitman. Pero es infrecuente. Vallejo es más interesante.

-¿Usted conoció a Neruda?

-No, no.

-¿Cómo lo descubrió? ¿Después del Nobel?

-No, ya lo estaba leyendo. Tenía varios amigos que lo leían, incluyendo a uno que lo tradujo.

-Y aparte de Vallejo, ¿algún otro escritor latinoamericano que incluiría en el canon?

-Probablemente Gabriela Mistral. Tiene autenticidad, porque es sombría... lo que es muy bonito. (Piensa un rato, mira por la ventana.) Octavio Paz es probablemente mejor poeta que todos ellos. Paz, en sus grandes momentos, es destacable.

-¿Se conocieron bien?

-Sí, nos conocimos bastante. Gran poeta, hombre muy extraño. Tenía ideas muy raras.

-¿Cómo cuáles?

-Creía en el yoga tántrico.

-¿Cómo lo supo usted?

-¡Él me dijo!

-¿En serio?

-Claro. Se había casado con una señora de la India, y decidió... me ruboriza decir esto, estoy muy viejo . -Sonríe-. Él pensaba que sus ideas sobre yoga tántrico podrían liberar su sexualidad. Muy extraño. Muy mesiánico. Ciertamente un maravilloso poeta. Su libro Sor Juana Inés de la Cruz o las trampas de la fe es maravilloso. Probablemente lo mejor que escribió.

-¿Cuál cree usted que es la contribución de la literatura latinoamericana? ¿Qué piensa, por ejemplo, del realismo mágico?

(Carraspea y mira fijo, moviendo la cabeza) -Al novelista mexicano Juan Rulfo lo encuentro mucho más interesante que al tardío García Márquez o Cortázar. Rulfo era muy interesante. Pero el realismo mágico es un disparate. La idea es tonta. Es la descripción del futuro de la fantasía, que pasa a través de todas las edades y religiones. No fue bueno.

-¿Por qué cree que fue tan exitoso como tendencia en Estados Unidos y Europa?

-Las modas suben y bajan... de la misma manera que los vestidos y faldas de las mujeres suben y bajan... No significa nada. En una perspectiva más larga no importa.

-Pero hizo una gran diferencia en los escritores latinoamericanos que fueron catalogados dentro de esta tendencia.

-Claro, ciertamente les ayudó a tener un público.

-Hablemos de Nicanor Parra, a quien usted ha elogiado ¿Por qué le gusta?

-Bueno, los suyos no son antipoemas, como dicen, son poemas. Son meditaciones, a veces alegres, pero frecuentemente muy plañideras y tristes. Y él tiene mucho autoconocimiento, conoce sus propias limitaciones. Ha tenido muchas experiencias de vida. ¡Quizá unas cuantas mujeres!

-¿Usted ha conocido a Parra?

-No. Hemos hablado por teléfono y cartas.

-¿Usted cree que Parra merece el Nobel?

-No se lo darán, porque Mistral y Neruda lo tuvieron. No creo que premien a un tercer poeta chileno. Pero sí, él se lo merece. Su poesía es vibrante e interesante. Pero no se lo darán.

-Tiene una tradición muy distinta de la de Neruda y Walt Whitman.

-Hay un toque de Walt Whitman. Él me ha dicho que está muy interesado en Whitman... supongo que tradiciones francesas como el surrealismo y el dadaísmo tienen algo que ver con sus inicios. Tiene mucho humor... Pero no le darán el Nobel. Eso es muy malo

A través de su ventana se ve el invierno por venir en Connecticut. El frío que comienza a calar hondo, las ardillas que lo evaden en los troncos, hojas doradas en el suelo y muchas flores. En su mesa, un jarrón de rosas blancas. Y muchos libros, algunos ordenados y reverenciados, otros en total desorden, lo rodean. Mientras habla a veces se toca los ojos, tratando de encontrar las palabras, o quizás espantando la fatiga que lo amenaza siempre. Dice que duerme poco y a saltos, que no tiene mucha energía, que vive exhausto. Sin embargo, nada de eso es coherente con su agenda, que mira en su mano, llena de clases, visitas de alumnos, viajes a Nueva York. Es como si espantara el fantasma del cansancio invocándolo a cada rato.

-¿Cómo se siente ser el más influyente y controvertido crítico de nuestro tiempo, según The New York Times?

-¡No sé de quién estás hablando! -Se ríe.

-Debe ser una enorme responsabilidad...

(Niega con la cabeza) -¡Es ridículo!, es como si yo te dijera: ¿cómo te sientes al ser tú? ¡Es sólo tu vida!

-Pero The New York Times...

-¿Y a quién le importa lo que dicen? Pasados los 80, ya no te preocupas de esas cosas. ¿Para qué?

-¿Cómo ha vivido con ser la voz que decide quién tiene valor literario o no?

-Nadie puede hacer eso. El valor literario nunca es establecido por un crítico particular o un grupo de críticos. El valor literario se establece por generaciones de poetas, novelistas y dramaturgos que han tenido que luchar contra la influencia de escritores particulares, una influencia que consideran ineludible. Y haciendo eso, establecen su valor. Realmente no importa lo que dices de ellos.

-Usted ha sido un crítico muy influyente.

-La única influencia que he tratado de tener o que realmente he tenido es que éste es mi 57o año como profesor. Desde que estuve enfermo, hace cuatro años, ya no doy charlas ni conferencias. Sólo enseño a este grupo de doce jóvenes seleccionados. Vienen aquí uno a uno, o en grupos. Eso es lo único que importa, la influencia en el futuro, pero es impalpable, no se puede saber realmente.

-Usted ha vivido dedicado a la literatura. Si volviera atrás, ¿haría lo mismo?

-¿Te refieres a la misma profesión? Creo que yo, claramente, iba a ser un profesor.

Cuenta que desde joven leía y reflexionaba sobre los poemas. Fue un niño precoz y literario. Pero dice que con los años se ha degenerado su disciplina de estudio. Ha escrito -y mucho- sobre lo que denomina "la escuela del resentimiento", que para él implica que la literatura no se lee desde la literatura misma, sino desde otras disciplinas, como la antropología o los estudios feministas. "Ver la belleza y el poder del lenguaje y el pensamiento ha sido reemplazado por preguntas relativas al género, la orientación sexual, teorías estructurales y posestructurales... y disparates de todo tipo. Ha degenerado en una parte de la ciencia social, así que no estoy seguro de que lo hubiera elegido. Profesor hubiera sido. Quizá me habría convertido en un profesor de historia de las religiones, pero no sé qué habría hecho. Especialmente cuando queda tan poco tiempo."

Dice que quizá no habrá libros impresos de aquí a 20 años. Que el mundo como lo conocemos se está acabando. "Habrá lectores, pero será diferente. Y las universidades también serán diferentes. La persona hablando y la persona escuchando nunca se encontrarán. Cuarenta mil personas a la vez. Ésa no es mi idea ni lo que yo hago. Es todo distinto de lo que he hecho, que he enseñado uno a uno a mis alumnos. ¡Así es que soy un dinosaurio!"

Sus clases son los miércoles y jueves en uno de los edificios más lindos e históricos del campus de Yale. Una gran mesa de madera antigua, rodeada de sillas nobles y antiguas, y un pizarrón del estilo clásico, negro y con tiza blanca. Su docena de elegidos se sienta alrededor, él en la cabecera, y hay un alumno que hace las veces de ayudante, siempre a su derecha. Llega temprano, alrededor de la una, con un bolso azul con sus libros, los textos que se analizarán en clases, una botella de agua y una bolsa Ziploc con nueces. Cada hora hace un pequeño recreo, se levanta con su bastón, camina y vuelve.

Tiene una memoria prodigiosa. Se sabe, desde la segunda clase, todos los nombres de sus alumnos. Los llama " child ", " children ", los trata como hijos o nietos, más bien. Los incita a dar sus opiniones, sus análisis de escritores complejos, como Shakespeare, Whitman, Melville o Emily Dickinson. Sólo cuando los alumnos han hablado bastante, él da su visión. Su palidez contrasta con la firmeza de su voz y sus ideas. Mira hacia el frente y comparte su mirada sobre lo leído, sus anécdotas también, sus cavilaciones acerca de autores que ha estudiado. Cada comentario de los alumnos lo agradece, y los hace leer en voz alta a todos. "Inspira profundamente y lee, Max", dirá, mientras uno de sus alumnos predilectos lee a Whitman o a Dickinson. Max estuvo enfermo algunas semanas, y Bloom le dio clases vía Skype. Cuesta imaginar lo que cuenta el mismo Bloom, que antes fue un profesor severo, capaz de decirle a un alumno que su trabajo era tan malo que no merecía calificación.

-¿Cuánto ha cambiado como profesor?

-Cuando empecé, antes de operaciones de todo tipo, del corazón y otros desastres, hablaba mucho en clases. No podía dejar de hablar. Sentía que tenía tanto que decir... Me tomó muchos años aprender a quedarme callado y escuchar. Ya no tengo esa energía tampoco. Hablo lo menos posible y los estimulo a que hablen ellos. Creo que sólo en los últimos años me he transformado en un buen profesor. Conozco mucho las materias de las que hablo, y sobre todo estoy interesado en mis alumnos, quiero verlos convertirse en sí mismos. No tengo nietos. No tendré nietos. Y algunos de mis alumnos se convertirán en nietos. Quizás debiera haber dejado de enseñar, pero no quiero. Cuando viene el mal tiempo, lo más frecuente es que la clase sea en esta casa. No es fácil.

-¿Qué habla con sus alumnos cuando lo vienen a ver?

-Lo que más hago es escucharlos. Pero no quiero entrometerme en sus vidas personales.

-Pero le pedirán consejos, ¿no?

Yo no tengo sabiduría. Sé donde la puedes encontrar. La puedes encontrar en Shakespeare, Cervantes o Dante, ahí puedes encontrar sabiduría, partes de la verdad. Además, yo estoy más y más consciente de mis propias limitaciones. La vida no funciona deseando mucho algo y obteniéndolo. Con los años ves los monumentos rotos de tus grandes deseos.

-¿Cómo funciona la vida, entonces?

-Simplemente no funciona así... Además, crecí emocionalmente muy despacio. Antes de conocer a Jeanne, me enamoraba cada día de alguna mujer joven. Todo muy confuso. Yo no creo que los remordimientos sean algo bueno para la gente. ¿Tú tienes arrepentimientos? Creo que todos queremos sentir que hemos triunfado en algo, pero yo no siento eso.

-¿Por qué?

-Ni siquiera un poco. A nuestros hijos no les ha ido bien. Jeanne y yo seguimos aquí, pero es porque ella ha sido paciente y sabia. Yo no era ni un buen esposo ni buen padre. Sólo en los últimos años me he convertido en un buen profesor y no tengo ninguna ilusión sobre lo que escribo. Desaparecerá.

-Pero usted ha escrito decenas de libros.

-No importan. En 50 años nadie sabrá quién fui. No es que me afecte. Sólo espero tener unos siete u ocho años más, seguir enseñando, escribir un poco más. Estar en la compañía de Jeanne. Cuando era joven yo tenía sueños de felicidad, como todos. Pero es un juego, eso no pasa. Incluso la gente más talentosa, como Wallace Stevens, no era feliz consigo misma.

Se escucha un ruido en la puerta. "¿David? Entra, hijo." David, alumno brasileño de menos de 20 años, entra y lo saluda. Ayer vino con sus padres a ver al profesor y tocó el piano para todos. Bloom llama a su mujer, le dice que David tocará de nuevo. El joven se sienta al piano, algo intimidado. Harold Bloom permanece sentado frente a la mesa. Jeanne, sonriente y sentada en una silla reclinable cerca del piano, cierra los ojos y escucha..


http://www. http://www.conexionbrando.com/1664160-leo-clasicos-luego-existolanacion.com.ar/1552471-harold-bloom-el-valor-literario-nunca-es-establecido-por-un-critico

domenica 16 febbraio 2014

La battaglia dei filosofi: «Un errore cancellare lo studio del pensiero»

La filosofia è in pericolo. Scuola e università sembrano avviate verso un processo di espulsione della materia: la sperimentazione di un ciclo abbreviato di quattro anni potrebbe portare alla perdita di un anno di insegnamento (due invece di tre) nei licei, mentre in alcuni corsi di laurea, come Pedagogia e Scienze dell’Educazione, la filosofia è uscita dalle tabelle disciplinari. Decisioni che possono rientrare in quell’attacco all’umanesimo che alcuni intellettuali di varia estrazione denunciano, come hanno fatto Alberto Asor Rosa, Ernesto Galli Della Loggia e Roberto Esposito qualche mese fa con un appello congiunto pubblicato dalla rivista «Il Mulino».
La filosofia dunque sembra essere la prima vittima, ma i filosofi non ci stanno. «È l’errore più grave che si possa fare - commenta Giovanni Reale, filosofo cattolico -. Qualche volta ho sentito pronunciare da alcuni giovani le stesse cose che evidentemente pensa chi propone questi progetti: la filosofia si occupa di problemi astratti che non hanno a che fare con la vita, che appesantiscono la mente. Prevale l’idea che il sapere derivi dalla scienza e che la tecnologia risolva tutti i problemi. Eppure Popper e gli epistemologi hanno spiegato che la scienza per definizione non può avere idee universali e necessarie, ma coerenti con un paradigma dominante in quel preciso momento. La bellezza della filosofia è di poter contenere anche sistem
i opposti, perché le nostre idee non sono definitive».
Reale guarda anche all’estero: «In Francia e Spagna, dove l’hanno quasi eliminata dai licei, se ne sono pentiti. In Germania non c’è la possibilità di un livello intermedio di conoscenza. Un filosofo come Gadamer è capito molto meglio in Italia che in Germania. Una volta mi disse che quando veniva qui si sentiva come in un santuario: tutti quei ragazzi che andavano a sentirlo avevano strumenti di comprensione che in nessun altro Paese avevano».
Anche Giulio Giorello pensa «tutto il male possibile» dell’idea di ridimensionare l’insegnamento della filosofia. «Ma non per difendere la categoria - spiega -. Non penso ai filosofi come professionisti della parola o del pensiero, ma la filosofia è il respiro della mente, Hannah Arendt la definiva “la vita della mente”. Si può farne a meno, ma allora si deve respirare solo con il corpo. Come diceva Vladimir Jankélévitch si può vivere senza filosofia, ma molto male. La riflessione su se stessi e la meditazione sul nostro posto nel modo, quella che si chiama la “libertà filosofica” fa paura agli esponenti della cappa burocratica che mira a normalizzare il pensiero e vuole farci diventare tutti dei mestieranti mediocri».
Gianni Vattimo, che ha insegnato filosofia teoretica a Torino per 25 anni, si sofferma sull’idea di togliere l’insegnamento della materia nei corsi di laurea di Pedagogia e Scienza dell’Educazione: «È un passo verso la disumanizzazione. In generale i Paesi in cui non si insegna la filosofia sono i peggiori. Toglierla dai corsi di laurea in cui si dovrebbe “insegnare come si insegna” è un pessimo segnale. Se penso che si studia la decimologia, la scienza di come si danno i voti, allora preferisco che si studi Gentile». Secondo il teorico del pensiero debole una formazione puramente funzionale alla produzione è da buttare: «Ci ritroveremo una generazione di piccoli produttori legati a saperi specifici che poi velocemente tramontano. C’è invece una formazione che è tanto più significativa quanto più slegata all’uso delle macchine».
Ma a che cosa serve la filosofia? Vattimo scherza, ma non troppo: «Serve a non farsi dirigere nella visione del mondo soltanto dalle canzonette. È una messa in ordine delle idee sulla vita e su noi stessi. Husserl diceva che studiare la filosofia è come fare di professione l’essere umano». Alzi la mano chi non ne ha bisogno.

http://www.corriere.it/scuola/secondaria/14_febbraio_16/battaglia-filosofi-un-errore-cancellare-studio-pensiero-f1397594-96f4-11e3-bd07-09f12e62f947.shtml

mercoledì 5 febbraio 2014

Corsi online, il bilancio 18 mesi dopo: sono le università del futuro o una bolla?

Un’analisi di queste accademie globali della rete. A scuola corsi Mooc gratuiti
e senza profitti, nelle aziende aggiornamento online, di classe e a pagamento.
Università del futuro o nuova bolla online? 

La consacrazione del New York Times o la doccia fredda per i troppi corsi subito deserti? E soprattutto, chi paga e come? In un anno e mezzo sui Mooc (massive open online courses) i corsi universitari gratuiti via internet, si è detto di tutto, che avrebbero risolto miseria e fame nei paesi in via di sviluppo o che avrebbero costretto alla chiusura atenei illustri, dalla Normale di Pisa alla Sorbona e Harvard. Un primo bilancio, come sempre, lascia aperte le speranze di progresso, ma senza dar ragione ai soliti ottimisti del web.
Udacity creata da Sebastian Thrun, l’ideatore dei Mooc ispirato dal pioniere Salman Khan, sembra forse il primo successo nel business. Il sogno utopico di Thrun, una comunità di migliaia di persone con cui condividere gratis il suo sapere su robotica e tecnologia, è stato presto sconfitto dalla realtà, troppo costoso fare di un ragazzo degli slum di Delhi un dottore in fisica quantistica grazie al tablet. E il progetto pilota di Udacity con l’università di San Josè in California, partito alla fine del 2012, rivela che il rendimento degli studenti online è troppo scarso rispetto a quelli che vivono davvero nei campus universitari.
Thrun perde cosí fede nei Moocs spontanei, si converte in manager e studia un progetto che, secondo quanto dichiarato a Fast Company ha l’ambizione di generare nel primo anno 1,3 milioni di dollari: coinvolge la grande azienda di telecomunicazioni AT&T e Udacity diventa una piattaforma dedicata alla formazione professionale dei quadri nelle aziende. All’operazione collabora il Georgia Institute of Technology e, per la prima volta, diventa possibile ottenere una laurea riconosciuta ufficialmente, via Mooc. Ben 2.360 studenti propongono la loro candidatura per il corso in “Computer Science program”, ma solo 375 vengono ammessi alle lezioni, cominciate lo scorso 15 gennaio. I nuovi laureandi digitali hanno in media 11 anni in più degli studenti tradizionali e pagano molto meno: 7mila dollari, contro i 45mila del campus. Fiutata l’aria, Linkedin (www.linkedin.com), il social network dei professionisti, apre alle più importanti compagnie di istruzione online - Coursera, EdX, lynda.com, Pearson, Skillsoft, Udacity e Udemy - e dà la possibilità agli utenti di sfoggiare nel profilo i Mooc completati.
A differenza di Udacity, però, i classici atenei di Boston, Mit e Harvard, non si fanno subito scoraggiare dal basso numero di studenti che completano i corsi online e passano l’esame via il “Mooc provider”, EdX. Un loro rapporto appena pubblicato sulle classi Autunno 2012-Estate 2013 calcola che sui 17 corsi online, 43.196 iscritti hanno ottenuto l’attestato di frequenza finale, 35mila hanno seguito solo metà corso, 300mila, da veri bighelloni digitali, nemmeno una lezione. Successo? Fallimento? Secondo la ricerca Harvard-Mit, non è un fallimento del modello Mooc perché «gli utenti di EdX non sono “studenti” in senso stretto, la registrazione non ha costi, né richiede un impegno, dunque indicatori tradizionali come il tasso di iscrizione o la percentuale di diplomi fanno perdere molte sfumature, come i casi di studenti pur molto capaci che si iscrivono solo per imparare un aspetto specifico del corso e lasciano subito dopo. In un ambiente globale, online e gratuito, bisogna riconsiderare il significato di parole come “studente” e “apprendimento”».
Ma ora anche EdX, oltre alle classi universitarie, scommette sulla formazione professionale, annunciando una partnership con il World Economic Forum - che organizza il grande convegno mondiale di Davos. Attraverso una nuova Forum Academy, il Wef fondato dal professor Klaus Schwab metterà a disposizione di professionisti e organizzazioni il proprio network di eccellenze in campo accademico, politico e manageriale per produrre corsi certificati. Già pronti i primi tre: “Global Technology Leadership”, “Automotive Industry Leadership” e “New Vision for Agriculture”. Insomma anche se non vi invitano tra i Vip di Davos, potete discutere con loro e ascoltarne le idee, almeno online.
In Italia, intanto, sono pochi gli atenei che ha
nno osato mettere piede nel campo ancora incerto dei Mooc: i primi sono stati, su Coursera, La Sapienza, con corsi su archeologia, meccanica quantistica e architettura, e l’università Bocconi, che ha messo in vetrina “Gestione di società di moda e lusso”, “Finanziamento e investimento in infrastrutture” e “Organizzazione internazionale e di leadership”. Hanno puntato, invece sul Mooc provider tedesco, Iversity, l’Università di Firenze, con un corso di Filosofia politica e L’accademia di Belle Arti di Catania, che propone un corso base di design.
La rivoluzione online ha creato molte difficoltà ai vecchi contenuti, dalla musica ai media: l’università almeno avrà il tempo di prepararsi, anche se per ora il quadro sembra chiaro, a scuola corsi Mooc gratuiti e senza profitti, nelle aziende aggiornamento online, di classe e a pagamento. 


http://www.lastampa.it/2014/01/29/tecnologia/corsi-online-il-bilancio-mesi-dopo-sono-le-universit-del-futuro-o-una-bolla-pDvtQgDvcfvzlCNmEUADEM/pagina.html