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sabato 15 dicembre 2012

UN AMMIREVOLE ESEMPIO di LLL

Quante volte ci siamo sentiti spiegare dai professori o abbiamo letto nei documenti redatti dalla Comunità Europea o abbiamo ascoltato dai politici, oppure abbiamo noi stessi spiegato ad altri interlocutori, la necessarietà del LONGLIFE LEARNING come strumento di mobilitazione delle risorse personali e fonte inesauribile di crescita e trasformazione per adeguarsi al mondo che cambia, alle incertezze, o addirittura per sfidarlo? Innumerevoli! .. Certo, a volte la fiducia vacilla … questi sono tempi un po’ bui, in cui la “risorsa umana” con le sue conoscenze ed esperienze sembra essere divenuta più un fardello che una ricchezza … e se anche il Longlife learning fosse una bufala??!!
E in una di quelle giornate "no" in cui sto quasi per cedere al pessimismo, ecco che vengo colpito dal profilo del defunto architetto brasiliano Oscar Niemeyer che Renzo Piano ha tracciato in un articolo apparso su Repubblica lo scorso venerdì, il cui incipit recita: “A 85 anni continuava ad apprendere. Me lo scrisse in una lettera che risale a due decenni fa. E credo che fino all'ultimo respiro Oscar Niemeyer abbia pensato a come proseguire il suo lungo apprendistato» … «Ai miei occhi è sempre sembrato un giovane vecchio», insiste Piano, «un maestro che ha innestato la propria maturità su una specie di adolescenza prolungata nel tempo»
In un altro articolo, questa volta scritto da Rocco Cotroneo sul Corriere della Sera, si legge con riferimento allo studio in cui lavorava il grande architetto “Che ancora brulica di progetti…”.
Una bellissima testimonianza quella di Niemeyer … ecco, allora, cosa vuol dire davvero Longlife learning! … non un mero e vuoto refrain, o slogan che dir si voglia “Continuate ad imparare! Imparate ad apprendere”ma un messaggio profondo, che non rimanda solo ad aspetti puramente istruzionali (perfezionamento di competenze tecniche, ecc.), ma alla nostra dimensione individuante … significa coltivare sempre l’entusiasmo, avere progettualità, sempre, persino quando la vita ha quasi ultimato la sua parabola, significa curiosità, vuol dire sentirsi “incompiuto” e quindi essere sempre in cerca di “quell’essere di più” da realizzare, e quindi implica anche l’umiltà di sentire di dover sempre imparare dalla vita e dagli altri ponendosi in un ascolto autentico e in un'osservazione attenta e proattiva, significa mettersi in discussione e accettare la sfida del cambiamento, significa avere sempre più strumenti per cogliere i valori fondamentali (Niemeyer afferma che «La vita è più importante dell'architettura e che la giustizia sociale è l'unico obiettivo da raggiungere»)
Se è vero che la conversazione educativa – in qualsiasi contesto sia essa attuata –si nutre anche della testimonianza, ossia dell’osservazione di situazione e condotte concrete ispirate ai principi educativi di riferimento, credo che l’esperienza di vita e professionale del grande architetto appena deceduto, con il suo costante “apprendistato”, non solo pratico-professionale, ma intellettuale e morale, sia per noi un’ammirevole ed emozionante testimonianza del ruolo che dobbiamo riservare all’apprendimento nelle nostre vite, all’attitudine che esso ci può aiutare ad assumere verso la vita e gli altri, oltre che nella nostra sfera professionale.
E poiché in uno dei due articoli è menzionato anche Chico Buarque, grande amico di Niemeyer, chiudo questo post con una delle sue canzoni, assai rinomata anche da noi “O que será” (che viene introdotta, fino al minuto 1:32 da una digressione sulle peculiarità dei brasiliani) … credo che la sola musica e l’intensità del volto del cantante, prima ancora delle parole pronunciate, riescano a toccare le corde del cuore …

venerdì 16 novembre 2012

Digital Storytelling: creatività e tecnologia

Una narrazione digitale, una documentazione visuale di Isabel de Maurissens
Le story tales possono essere definite come "blended telling stories with digital technology” (Ohler, 2007). È il carattere blended che ne fa uno strumento didatticamente valido, perché unisce l’abilità della narrazione alle potenzialità tecnologiche. Leslie Rule definisce il digital storytelling come l'espressione moderna dell'antico mestiere di cantastorie. Una digital tale è una breve narrazione (generalmente al massimo 5 min.) di un evento che integra diversi linguaggi: alcuni tipici della narrazione, altri della sceneggiatura. L'alunno, impostando la narrazione e la sceneggiatura, sviluppa alcune abilità: capacità di scrittura e di espressione orale, abilità tecnologiche e sensibilità artistica. Possono essere utilizzate immagini, fotografie, disegni (o altro materiale scannerizzabile) video, musica, la voce o effetti sonori.
Ecco un
esempio tratto dal sito di Helen Barrett dell’Università di Alaska (http://www.storycenter.org/) creato nel marzo 2004. Un'alunna delle superiori spiega al suo professore cosa sono le narrazioni digitali e perché crearle in classe.

Storytelling: narrazione e sceneggiatura
Gli elementi essenziali non sono che una semplificazione, un punto da dove cominciare perché ci sono infinite variazioni per costruire una narrazione digitale.
I 7
elementi consigliati da Joe Lambert (Jason Ohler descrive il Center for Digital Storytelling diretto da Lambert come la “mecca” per i digital storytellers):

1.            Punto di vista. Le storie dovrebbero essere personali e autentiche.

2.            Raccontare qualcosa di cui valga la pena (“the dramatic question”).

3.            Un contenuto emozionalmente valido perché sia coinvolgente.

4.            La vostra voce. La propria voce è un elemento importante, molti studenti vogliono usare solo immagini e musica, ma l’effetto non è lo stesso.

5.            Il potere della colonna sonora, che anticipa quello che succederà.

6.            Economia. Tutti gli ingredienti (la voce, la musica, le immagini) devono essere usati in modo da interagire tra loro. Di solito non ci si rende conto che le cose da dire possono essere dette con poche immagini, poco testo e poca musica. Lasciare parlare l’implicito, le metafore.

7.            Ritmo. Il ritmo è il segreto della narrazione insieme alla vitalità. Le buone storie respirano.

I 7 elementi consigliati da Jason Ohler:

1.            Mappa. Gli studenti creano una mappa della propria storia.

2.            Feed-back da parte degli altri sulla propria storia, con l’aggiunta di eventuali elementi.

3.            Scrittura della storia.

4.            Registrazione della stessa.

5.            Ascolto e eventuale revisione.

6.            Fatto? Lo studente e il docente decidono a che punto è finito.

7.            Digitalizzazione della storia (immagine, musica , audio ecc.).

Il sito di Jason Ohler, molto incentrato sull’uso educativo delle digital story tales, pone l’accento sulla narrazione più che sulle nuove tecnologie: "una buona narrazione farà una buona digital story tale e non il contrario". Sostanzialmente Jason Ohler utilizza due approcci. Il primo, “computer based” consiste nel basare la creazione di una storia principalmente attraverso il computer (immagine, musica, usando programmi come iMovie o Moviemaker). Nell'altro approccio, chiamato “sfondo verde” la storia viene narrata in modo tradizionale filmando il protagonista con uno sfondo neutro per poi integrarlo con i multimedia. Questa seconda soluzione facilita la didattica perché l’alunno fa un’ulteriore riflessione sull’uso delle nuove tecnologie. Alcune tecniche, affini alle Digital storytelling hanno in comune alcuni elementi. I video annotation prevedono l’interattività nel filmato o nelle immagini, cioè è possibile modificare il contenuto digitale creato dall’autore. I photolanguage: sono raccolti in dossier fotografici utilizzati a scopi didattici o di orientamento, ma non prevedono la voce narrante o le riprese. Il Digital storytelling è un metodo a sé stante che utilizza alcune tecniche già note come la narrazione e la sceneggiatura unendole con creatività e autenticità.

Le comunità di Digital Tellers
"Sono le memorie della comunità, non la storia, non un archivio, non una lista di autorità ma una memoria vivente, la coscienza dell’identità collettiva intrecciato in centinaio di storie" (Lambert, 2005).
Per parlare delle comunità è necessario parlare dei centri di formazione, essi stessi comunità di Digital Storytellers. Uno dei centri più accreditati a livello mondiale è il Center for Digital Storytelling negli Stati Uniti già citato sopra.
Diretto da Joe Lambert con la collaborazione di Nina Mullen, ha organizzato decine di workshop, lavorando con molte comunità di adolescenti e di adulti intorno a un tema e una comunità: un'attività interessante del Centro sono i casi di studio dove vengono raccolte Digital storytells locale e orali su svariati temi come l'organizzazione sindacale, la prevenzione della violenza, l'handicap, i servizi sociali e salute ecc. È prevista una sezione dedicata all’educazione e all’uso delle Digital storytells nella didattica come ad esempio nell'insegnamento della lingua oppure l'educazione artistica. Un esempio è la comunità nata intorno alla Digital storytelling Iniziative del
Public broadcasting for Northerm California (KQED) . Più di 500 studenti delle scuole superiori partecipano al progetto “Coming California” sull’immigrazione in California. Quest’anno, il progetto include anche storie sul mito di sentirsi o essere della California. Il centro prevede altresì un workshop per gli insegnanti e un follow up nella scuola. Sostanzialmente, le Digital Storytells hanno la funzione di aggregare comunità. Un buon esempio è la comunità di volontari che si “raccontano” attraverso i digital story tellers (http://www.mediabridge.org.uk/sites/volunteerbritain/videos.htm).  L’Associazione Community Service Volunteers (CVS) che le rappresenta, è una delle più importanti associazioni di volontari in UK.
Un altro punto di riferimento negli stati Uniti, è la Digital Storytelling Association (http://www.storymapping.org/about.html) che ha eredito del lavoro del fondatore, artista e cantastorie dei Digital storytelling Dana Winslow Atchley. Negli anni ’80, ha condotto molti workshop, realizzando delle story tales anche per grande compagnie delle Usa come Coca Cola che si racconta attraverso digital story tale.
Anche in Europa si sono sviluppate delle correnti. In Inghilterra Daniel Meadows circa 15 anni fa, ha creato Capture Wales and Telling Lives , (http://www.bbc.co.uk/wales/audiovideo/sites/galleries/pages/capturewales.shtml)  il primo nucleo della BBC dedicato alle Digital story tales. Basandosi sulla propria esperienza di fotografo/documentalista ha anche un sito personale PhotoBus An adventure in documentary Photography (http://www.photobus.co.uk/) . La comunità documenta se stessa, ogni storia personale si potenzia grazie alle storie simili, che raccontano forse lo stesso evento ma in maniera diversa. Le storie fanno da collante tra i membri di una comunità o intorno ad una area geografica limitata o intorno ad un tema o un personaggio. Un esempio: immigrati in California oppure la comunità di aborigeni in Australia.

Mappa di localizzazione dei digital tellers
Nato da un progetto del Center fot Digital Storytelling la mappa localizza i singoli digital tellers attraverso il mondo. Originale, il seguente progetto canadese “Murmur” (http://murmurtoronto.ca/spadina/)   (doppio significato: muro e sussurro) che prevede una cartina designata di un quartiere intero di Toronto e che permette di entrare e fermarsi, davanti ad un immobile, a un semaforo, un negozio e sentire una persona che ci racconta il suo vissuto rispetto a quel luogo.

La valenza didattica e formativa delle Digital tales
I numerosi workshop sull’argomento dimostrano che è fondamentale una formazione per riuscire a comporre una narrazione digitale. Spesso, workshop e didattica si intrecciano. I workshop di solito sono previsti per i docenti ma anche per gli alunni. Ecco un esempio, di una comunità di Digital storytelling learners.
Non è un caso che le narrazioni digitali siano nate negli Stati uniti dove costruire il proprio percorso di apprendimento è la norma, dove il docente è visto come un allenatore che affianca l’alunno (Sclavi, 2003). Le materie disciplinari che potrebbero sviluppare il metodo sono molte. Il valore aggiunto delle narrazioni digitali è molto chiaro. Il sito della Carnegie Mellon University mostra un
frammento di una lezione di chimica in 3 versioni, la prima trazionale, la seconda con l'immagine e la terza integrate in una narrazione digitale. Usare le nuove tecnologie in modo creativo permetterebbe all’alunno e al docente di costruire il materiale didattico insieme. Costruendo un'esperienza che coinvolge anche la parte emotiva e non solo cognitiva.
Negli Stati Uniti esistono molte iniziative del dopo-scuola che coinvolgono ragazzi a comporre storie digitali: un esempio delle
scuole superiori (http://www.oaklanddusty.org/). Interessante è la promozione comune di un progetto tra la biblioteca pubblica e una scuola del Kentucky (Usa). La biblioteca invita a partecipare soprattutto gli studenti e li invita settimanalmente a realizzare digital story tales presso la biblioteca.
Il docente si deve impegnare ad imparare gli strumenti che gli alunni padroneggiano a casa, dice bene Jason Ohler: “ Ci siamo! I vostri studenti hanno iPods, voi avete libri, loro usano il web, voi l’enciclopedia.”
Le narrazioni digitali possono essere creati dagli insegnanti stessi nel loro percorso professionale. Questo
esempio riporta un confronto (http://www.digitales.us/story_details.php?story_id=55)  fra il proprio apprendimento e quelli degli alunni di una terza elementare.
Un
caso curioso, perché invita all’utilizzo di un altro mezzo, è questa digital story tales: Un insegnante fa un’autoriflessione sulle motivazione per le quali ha scelto la professione di insegnante e lo speaker invita gli insegnanti a sintonizzarsi su una certa frequenza radio per proseguire il dibattito e raccontare le proprie motivazioni. Molto più elaborato il seguente esempio (http://www.inanimatealice.com/) (visionare il primo episodio "Cina") scritto da Kate Pullinger e diretto da Chris Joseph che ha vinto molti premi. Siamo all'inizio del XXI° S., una bambina di 8 anni, cerca, con la madre, il padre disperso in Cina. Molto ricchi la comunicazione, il ritmo e gli strumenti multimediali usati.
Il metodo è oggetto di un
master of arts in telecommunications - digital storytelling- presso la Ball University negli Stati Uniti. Lo slogan è: "cattura la potenza delle tecnologie/trasforma la tue competenze con le nuove tecnologie applicate ai media/crea una narrazione digitale unica".
Anche in Italia è stato sperimentato il metodo nell’ambito del progetto Europeo
eTwinning (http://etwinning.indire.it/home.php?) gemellaggio elettronico tra scuole europee, gestito per l'Italia da INDIRE, ora ANSAS (Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell'Autonomia Scolastica) (http://www.indire.it/) . Antonella Ortis, insegnante di lingua inglese dell''ITC "A.Gramsci" di Padova insieme al collega svedese Niilo Alhovaara, nella classe terza AE ha dato il seguente compito: racconti la storia della tua famiglia e in nella seconda AE: "raccontati in più lingue" insieme alla collega Elisabetta Doria di lingua tedesca. Adriano Scabardi, insegnante di matematica e fisica ma anche webmaster del sito della scuola, ha seguito il viaggio, di Giulia Montinaro della quarta A dell'ITC Scalcerle di Padova, una narrazione digitale di un viaggio in uno dei sette Emirati Arabi Uniti (http://www.istituto-scalcerle.it/blog/?page_id=58).  Qui è Kabir? Ecco un autoritratto nell'ambito dell'esperienza, (http://lnx.itcslazzari.it/venet/?page_id=66) mi racconto condotta dalla prof. Lucia Peretta, insegnante di matematica presso la scuola media di Vigonovo, nell'ambito del progetto di rete Venet school webzinecast (http://lnx.itcslazzari.it/venet/) di cui è referente Antonella Solida, insegnante di matematica e informatica presso l'ITCS Lazzari di Dolo.

La valenza documentaria delle Digital tales
Le narrazioni sono digitali e vengono conservate come tali, sono born digital, non assolvono solo ad una funzione di conservazione e di raccolta ma anche di scambio e di aggregazione di comunità o di interessi. Per il momento le narrazioni digitali non sono molto numerose e sono più o meno tutte raggruppate per tema, per filone, per cui sono facilmente rintracciabili, ma per l'estrema duttilità del metodo, si stanno diffondendo. In tale caso, trattandosi di una documentazione visuale, si potrebbero applicare loro i nuovi sistemi di visual retrieval. Si tratta di una tecnologia di archiviazione e recupero di oggetti digitali definita content based che va a cercare direttamente il contenuto visivo dei documenti, in opposizione ai tradizionali sistemi di indicizzazione e ricerca basati su parole chiave o descrittori definiti, term-based (Raieli, 2001). Oltre alla modalità semantica, il sistema ha altre quattro modalità di ricerca: formale, strutturale, coloristica e parametrica.
Le narrazioni digitali possono essere intese come documentazione visuale, memoria visiva di un unico soggetto, l'alunno, di una classe, di un
momento didattico ma possono rappresentare anche le memoria e le conoscenze di un'intera scuola ….


 

venerdì 26 ottobre 2012

Neet, generazione che non studia e non lavora


23.10.2012 - Sono 14 milioni i giovani d'età compresa tra i 15 e i 29 anni inattivi in Europa e costano all'Unione 153 miliardi di euro. La conferma arriva dall’indagine Eurofound, Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, relativa alla disoccupazione giovanile nel nostro continente, presentata il 22 ottobre a Cipro in occasione della Presidency conference on Employment priorities: Focus on youth unemployment.
Lo studio analizza la situazione sul mercato del lavoro dei giovani in Europa, con un occhio di riguardo alla generazione Neet, ossia quella che non studia, non lavora e non fa nient'altro (Not in Education, Employment or Training).
L’inattività giovanile in Europa pesa sull'intero sistema economico soprattutto in termini di mancata produzione di ricchezza: la perdita stimata è dell'1,21 % del prodotto interno lordo di tutta l'Ue. Una cifra importante e soprattutto in netta crescita: il 28% rispetto al 2008.
Nel 2008 i ragazzi fra i 15 e i 24 anni con lo status di Neet erano l'11%, tre anni dopo sono arrivati a quota 7,5 milioni (13%). Emergono notevoli differenze tra gli Stati membri, con tassi che oscillano da valori inferiori al 7% (in Lussemburgo e nei Paesi Bassi) a valori superiori al 17% (in Bulgaria, Irlanda, Italia e Spagna).
In Italia il fenomeno è particolarmente significativo: se i giovani che non studiano e non lavorano entrassero a far parte del sistema produttivo, si potrebbero guadagnare 2,06 punti percentuali di Pil, ed una crescita in termini assoluti di circa 32,6 miliardi di euro.
Nell'indagine si traccia anche un ritratto dei soggetti a "rischio Neet". Sono i giovani con bassi livelli di scolarizzazione che presentano una probabilità tre volte più elevata di finire nella categoria di quelli che non studiano e non lavorano rispetto ai coetanei con un'istruzione superiore. Il rischio aumenta per i giovani immigrati, quelli con problemi di salute o forme di disabilità, oppure provenienti da ambienti familiari difficili e con redditi bassi, spesso residenti in aree periferiche più arretrate.

Per approfondire:
NEETs - Young people not in employment, education or training: Characteristics, costs and policy responses in Europe
Presidency conference on Employment priorities: Focus on youth unemployment

FONTE: ISFOL http://www.isfol.it/primo-piano/studio-eurofound

mercoledì 25 luglio 2012

Rapporto Isfol 2012


28.06.2012 – Le competenze per l’occupazione e la crescita, questo il filo conduttore che tiene insieme le riflessioni svolte dall’Isfol nel Rapporto annuale 2012, come di consueto volto a fornire un’ampia panoramica delle dinamiche che caratterizzano il mercato del lavoro e i sistemi dell’istruzione e della formazione.Ad ospitare la presentazione del Rapporto è la Sala della Regina della Camera dei Deputati, con la partecipazione del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero e del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo. Tra i relatori anche Gianfranco Simoncini, Assessore alle Attività Produttive, Lavoro e Formazione della Regione Toscana e Gianni Rossoni, Assessore al Lavoro, Istruzione e Formazione della Regione Lombardia. L’apertura dei lavori è affidata al Direttore Generale dell’Isfol Aviana Bulgarelli, mentre le conclusioni vengono svolte dal Commissario straordinario Matilde Mancini.Il Rapporto Isfol 2012 pone al centro dell’attenzione il capitale umano, risorsa chiave per vincere la sfida della competitività e della ripresa economica. E segnala un rischio, quello che la carenza, l’obsolescenza e l’inefficiente utilizzo di competenze possa ridurre il nostro potenziale di sviluppo e determinare esclusione sociale, allontanandoci dai principali competitors internazionali.In questi anni l’investimento in capitale umano ha subito un rallentamento. Mentre in alcuni paesi europei la difficile congiuntura economica ha stimolato produzioni, servizi e occupazioni ad alta intensità di conoscenze, cioè ad alto valore aggiunto, in Italia è l’occupazione nelle professioni elementari ad essersi incrementata. Nell’ultimo quinquennio i lavori ad alta specializzazione sono diminuiti dell’1,8%, contro un aumento medio in Europa del 2%. Uno dei paradossi del nostro paese è che abbiamo una bassa percentuale di occupazione in professioni caratterizzate da elevate competenze (il 18% contro il 23% della media UE) e contemporaneamente tali lavori qualificati sono svolti solo in parte da lavoratori con istruzione terziaria (il 53,6% contro il 70,6% della media UE).Tutto ciò ha ridotto i vantaggi retributivi di chi ha i livelli di istruzione più alti. Mediamente in Europa le retribuzioni dei lavoratori con istruzione terziaria superano del 48,3% quelle dei lavoratori con istruzione secondaria, mentre in Italia tale valore si ferma al 36,2%.L’Isfol sottolinea come l’investimento in istruzione continui ad essere pagante sotto il profilo lavorativo. Tra il 2007 e il 2010 gli occupati sono diminuiti in Italia di 350 mila unità. E’ il risultato di una contrazione di circa 850 mila persone con al massimo la licenza media o il diploma triennale e un incremento di oltre 500 mila con titolo di studio medio-alto. Il numero di chi è in cerca di occupazione è aumentato di 596 mila unità, con una variazione del 40% circa, ma i più penalizzati sono stati coloro che hanno titoli di studio bassi (nel 2011 il tasso di disoccupazione dei laureati è pari al 5,4% contro il 10,4% di chi possiede la licenza media).Eppure anche in questo caso rimane un gap con l’Europa. Dal 2007 gli occupati con istruzione terziaria sono aumentati in Italia del 10% mentre la media comunitaria è pari al 14% (Germania +17,8%).I sistemi dell’istruzione e della formazione sono in fase di progressivo miglioramento. Tra le criticità, rimane un tasso di dispersione dei giovani 18-24enni ancora alto: il 18,2% contro il 13,3% della media UE. Inoltre, se sul fronte dell’istruzione secondaria il nostro paese sta recuperando posizioni, la diffusione dell’istruzione superiore presenta livelli ancora bassi e tassi di crescita inferiori a quelli medi comunitari.Un aspetto positivo è lo sviluppo della formazione tecnico-professionale, che continua a registrare un incremento, in controtendenza con i fenomeni di licealizzazione che avevano caratterizzato l’ultimo decennio (+1,5% iscritti agli istituti professionali e +0,4% iscritti agli istituti tecnici, licei -1,9%). Si evidenzia anche il riuscito innesto della filiera formativa dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale, che ha visto aumentare di 7 volte il numero degli studenti in 7 anni. L’apprendistato rimane uno dei principali strumenti per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: il numero di trasformazioni in contratti a tempo indeterminato risulta in aumento e cresce l’offerta di formazione a carattere formale. Quanto alla formazione degli adulti, l’Italia è ferma al 5,8%, una percentuale superiore solo a quello della Grecia.
Comunicato stampa
Rapporto Isfol 2012
Sintesi Rapporto Isfol 2012
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Leggi le notizie correlate:
Studiare paga ma in Italia paga menoApprendimento continuo ancora debole
Intervista al Direttore generale dell'Isfol

martedì 3 luglio 2012

Scuola, università e formazione professionale, ecco su cosa

Ragazzi e ragazze allo sbaraglio sul mercato
WALTER PASSERINI
Possiamo fare come lo struzzo e nascondere la testa in quei 98mila nuovi occupati in più a maggio, ma è una pagliuzza rispetto alla trave della disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni che ha polverizzato ogni record (36,2%) ed è lì a rivelarci impietosamente tutti i nostri fallimenti. Né può consolare gli avventizi neofiti del mercato del lavoro quel 10,5% di disoccupati under 24 rispetto alla loro fascia di età, se lo confrontiamo con l'altra faccia della medaglia dell'occupazione, che sono i giovani occupati tra i 15 e i 24 anni, da tempo in discesa libera, che hanno raggiunto drammaticamente quota 18,6%. Vuol dire che più di quattro giovani su cinque sono fuori dal mercato e dal processo produttivo, nel migliore dei casi studiano o sono nella schiera dei Neet (Not in employment, education or training) o hanno rinunciato a cercare. Maldestri campioni del made in Italy sostengono che noi siamo meglio messi in Europa, che anche gli altri soffrono.I giovani senza lavoro nel Vecchio continente sono oltre 5,5 milioni. Se in Italia oltre un giovane sui tre che cercano un lavoro è disoccupato, ci battono solo Grecia e Spagna, i campioni dello spread (oltre il 50% di disoccupazione giovanile), mentre i più virtuosi sono i tedeschi, gli austriaci e gli olandesi, compresi tra l'8 e il 9% di disoccupazione giovanile. Forse dovremmo mandare i nostri governanti degli ultimi 10-15 anni a studiare le politiche deipaesi più amici dei giovani e capiremmo che in quei paesi gli under 25 sono la priorità. In Italia invece sono il segno dell'impotenza, la cartina di tornasole della cattiva volontà di una classe dirigente di gerontocrati, legati come cozze ai loro privilegi. Certo l'anagrafe alla fine vincerà, ma intanto lo spreco di speranze, di risorse e di futuro grida vendetta e dovrebbe farci vergognare. Eppure i rimedi, il pentagramma delle cose da fare è sotto gli occhi di tutti. Le voci dell'agenda si chiamano scuola, università, orientamento, lavoro, culture. Il distacco della scuola dal mondo del lavoro è abissale. Certo vi sono esempi eroici di contatto tra mondi che non si amano, ma sono ancora una goccia rispetto ai bisogni. Stage, concorsi, alternanza, apprendistato sono strumenti che in altri paesi rappresentano la norma, mentre in Italia suscitano lo scherno degli scettici. Le università per legge dovrebbero fornire servizi di placement ai propri studenti, ma quelle che lo fanno davvero si contano sulle dita di due mani. L'orientamento è una cosa troppo seria per essere lasciato nelle mani delle famiglie, degli insegnanti o delle compagnie di giro, che stipano i ragazzi in sale cinematografiche altrimenti vuote e infliggono loro lezioni sul nulla.I disorientati salgono in cattedra e pontificano sermoni che sono elio allo stato puro, mentre i ragazzi non vedono l'ora che squilli la campanella. Dovremmo cominciare a capire che l'orientamento si divide in tre, dovremmo ricominciare da tre bussole per i giovani: una riguarda l'orientamento scolastico, una l'orientamento professionale, l'altra la relazione d'aiuto con i singoli soggetti, che non sono categorie ma persone. Invece, cinicamente, mandiamo i giovani allo sbaraglio, con la scusa che tanto prima o poi dovranno imparare a nuotare, o a camminare con un cappuccio in testa. Un malsano sadismo pedagogico si sostituisce alla relazione d'aiuto, che richiede fatica, rispetto, competenza. Infine, il lavoro. Che dire di una riforma del lavoro che giustamente punta le sue carte sull'apprendistato quando le regioni sono inadempienti e si trincerano dietro un federalismo di facciata. Che dire del modello culturale della formazione professionale in Italia che, unico paese in Europa, la divide in 20 sottosistemi sordi, tra loro gelosi e corporativi.Il risultato è quello di allontanare i giovani dal lavoro e dal lavoro manuale, da quelle tradizioni industriali e artigianali che continuano a reclamare posti vacanti. Che dire di una visione del lavoro ottocentesca, che riesce a immaginare solo mestieri da subordinati e dipendenti. Mentre il futuro è degli intraprendenti, di coloro che se lo costruiranno, di quelli che, nonostante i troppi cattivi maestri, preferiranno fare da soli.

http://www3.lastampa.it/scuola/sezioni/news/articolo/lstp/460983/

venerdì 29 giugno 2012

Chi più studia correrà meno rischi

La disoccupazione colpisce di più i titoli più bassi

WALTER PASSERINI

Studiate, studiate, studiate. Perché l'investimento nell'istruzione e nella formazione alla fine si trasformerà in profitto. Lo conferma il Rapporto Isfol 2012 presentato oggi a Roma.

Occupati. Gli occupati con istruzione terziaria (dopo il diploma) in Italia sono aumentati del 10% dal 2007 ma la media europea è pari al 14% (in Germania al 17,8%). Tra il 2007 e il 2010 gli occupati sono diminuiti nel nostro paese di 350 mila unità. E’ il saldo tra una contrazione di circa 850 mila persone con al massimo la licenza media o il diploma triennale e un incremento di oltre 500 mila con titolo di studio medio-alto (diploma di scuola secondaria superiore o titolo universitario). Quindi studiare paga.

Disoccupati. Anche l’analisi della disoccupazione conferma il vantaggio dato dall’investimento in istruzione nell’attenuare il rischio di disoccupazione. Tra il 2007 e il 2010 il numero delle persone in cerca di occupazione è aumentato di 596 mila unità, con una variazione del 40% circa. La penalizzazione nelle quote di disoccupazione ha colpito maggiormente le persone con titoli di studio più bassi. Nel 2011 il tasso di disoccupazione degli individui poco scolarizzati si attesta su livelli doppi rispetto a quelli registrati per coloro che possiedono un titolo universitario: l’indicatore riferito ai laureati è pari al 5,4%, mentre per i diplomati è superiore di 2,5 punti percentuali e raggiunge un valore del 10,4% per chi possiede la licenza media.

Donne. La distanza tra i tassi di disoccupazione specifici di uomini e donne si riduce sensibilmente all’aumentare del titolo di studio. In ogni caso il tasso di occupazione femminile, che si attesta nel 2011 al 46,5%, presenta un’elevata variabilità rispetto al livello di istruzione, passando dal 33% delle donne con licenza media al 72% per le donne in possesso di titolo terziario. E questo nonostante una progressiva tendenza delle donne ad avere migliori performance negli studi rispetto agli uomini.

Noi e la Germania. Rimane tuttavia uno svantaggio dell’Italia rispetto ad altri paesi europei: il tasso di disoccupazione dei laureati italiani è aumentato nel 2007-2011 dell’1% mentre in Germania è diminuito dell’1,4%.

Stipendi. Sotto il profilo del reddito, nei paesi Ocse le retribuzioni dei lavoratori con istruzione terziaria superano mediamente del 50% quelle dei lavoratori con istruzione secondaria. La media europea è pari al 48,3%. Il dato italiano si ferma al 36,2%. Dal 2005 i premi retributivi legati ad un maggiore livello di istruzione sono calati in Europa del 4% mentre da noi del 10% (in Germania sono saliti del 10%).

Scientifiche. Vi è un maggiore rendimento delle discipline scientifiche: limitatamente al solo lavoro dipendente, i laureati in ingegneria e in medicina percepiscono un reddito superiore al 10% rispetto alla media, mentre le lauree in discipline umanistiche e sociali e i laureati in lingue rendono oltre il 10% in meno.



martedì 17 gennaio 2012

Internet ci rende stupidi?


Lo studioso N. Carr giunge a conclusioni che possono apparire pesanti ma forse vale la pena prenderle in considerazione.
Ho costruito una mappa concettuale che vorrei condividere con voi.
Buona continuazione