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Epistemologia della Conoscenza

EPISTEMOLOGIA
Nel mondo anglosassone-americano con questa voce si intende la gnoseologia (termine filosofico equivalente a «teoria della conoscenza». Compito della g. è fornire una definizione di conoscenza, individuare i suoi possibili oggetti e studiare i modi in cui è acquisibile dal soggetto conoscente, accertandone la validità. Pertanto la g. si configura variamente nella storia della filosofia, a seconda delle premesse metafisiche a cui è abbinata.
L'epistemologia è una disciplina che studia criticamente la struttura formale della scienza, cioè la riflessione filosofica sul linguaggio, sui metodi, sull'organizzazione interna e sui risultati delle varie scienze per definire la natura e il valore del sapere scientifico. Dall'epistemologia è escluso il contenuto della scienza, oggetto proprio della ricerca scientifica. L'epistemologia in senso stretto nasce col problema della demarcazione tra ciò che è scienza e ciò che scienza non è: è la posizione del neopositivismo logico, che attribuisce un senso al discorso scientifico, lasciando alla filosofia l'unico compito di chiarire i caratteri specifici della scienza, con un'identificazione, quindi, della filosofia con l'epistemologia. Oggi molte tesi del neopositivismo trovano sempre meno seguaci; ma il vasto complesso di analisi svolto dai neopositivisti costituisce il punto di riferimento di tutta l'epistemologia contemporanea. Nell'ambito di questa sono significative le posizioni di Hempel, Nagel e altri sostenitori del neoempirismo liberalizzato, che hanno abbandonato alcune tesi neopositivistiche (l'esigenza di una riduzione operativa di tutti i concetti scientifici, il fisicalismo), pur continuando a muoversi nell'ambito concettuale caratteristico dei filosofi di Vienna. Più oltre si è spinto K. R. Popper, che al principio di verificazione ha sostituito quello di "falsificazione"; l'epistemologia genetica di J. Piaget, scostandosi dal neopositivismo, assume invece come tema fondamentale "lo studio del passaggio dagli stati di minore conoscenza agli stati di conoscenza più avanzata", cioè il "costituirsi" della conoscenza scientifica. In netta polemica con la epistemologia di origine empiristica si pone la teoria critica di Horkheimer, Adorno e Habermas, nella quale la scienza è come un insieme di tecniche di dominio della natura e della società, e l'epistemologia neoempiristica come la razionalizzazione di questo dominio. Il centro dell'indagine epistemologica, quindi, è il rapporto tra organizzazione scientifica e organizzazione sociale, soggetto conoscente e società. Mentre a un'epistemologia applicata e aperta, senza rigidi modelli di riferimento, capace di rilevare i concreti risultati ottenuti dalla ricerca scientifica, mira Gaston Bachelard, che dà vita a una riflessione centrale nel pensiero epistemologico contemporaneo. Partecipe testimone dei grandi eventi culturali del secolo, dalla psicoanalisi al surrealismo, Bachelard, uomo di estesissimi interessi e che ha lasciato una vastissima opera, diventa l'assertore di un nuovo spirito scientifico, plurale e rigorosamente operativo, attento all'estensione dei metodi e alla molteplicità degli oggetti. In una diversa direzione procede il pensiero di Thomas Kuhn, anche se, come Bachelard, mette l'accento sulla natura discontinua del progresso scientifico. In La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) Kuhn rintraccia e distingue le fasi di "ricerca normale", che risulta "stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato e a cui una particolare comunità scientifica, per un certo tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi", dalle "rivoluzioni scientifiche", che mettono in crisi l'assetto della conoscenza scientifica rivedendone i parametri e le acquisizioni. Critico nei confronti di Kuhn è Imre Lakatos, più vicino al razionalismo critico di Popper. Nelle sue opere (La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, 1970; Dimostrazioni e confutazioni, postumo 1976), Lakatos vede lo sviluppo delle teorie scientifiche come una successione di programmi di ricerca che possono entrare in contrasto fra di loro. "Secondo la mia metodologia - scrive Lakatos - i maggiori risultati scientifici sono i programmi di ricerca che possono essere valutati in termini di slittamento di problemi progressivi e regressivi; e le rivoluzioni scientifiche consistono nella sostituzione di un programma di ricerca con un altro. Questa metodologia offre una nuova ricostruzione razionale della scienza". Più ardita è la riflessione di Paul Feyerabend, che considera la scienza come "un'impresa essenzialmente anarchica". Nella sua opera più discussa, Contro il metodo (1970), P. Feyerabend giunge a considerare la scienza libera da ogni presupposto metodologico che possa soffocarne lo sviluppo vincolandola. La sua elaborazione non è priva di tratti paradossali e di elementi provocatori e mira, nel suo complesso, a pensare la scienza come espressione umana, avvicinandola nelle sue opere più recenti (La scienza come arte, 1981; o Dialogo sul metodo, 1989) all'arte e al mito.
Altri famosi esponenti dell'epistemologia moderna sono Quine, Putnam e Goodman.
Un ruolo molto importante nell'epistemologia ha l'interpretazione dei risultati scientifici: un esempio per tutte è il problema di interpretare vari risultati della meccanica quantistica.
 
PERCHE' LA SCELTA DEL BLOG ?
 
Stiamo vivendo nella knowledge society - la “società della conoscenza” - un contesto caratterizzato da tre fattori principali di cambiamento: l’estensione a livello mondiale degli scambi (la globalizzazione), l’avvento della società dell’informazione (con l’incremento delle possibilità di ciascun individuo di accedere alle informazioni e ai saperi, trasformarli, costruirli e diffonderli) e il rapido progresso delle innovazioni scientifiche e tecniche, da cui conseguono rilevanti e rapide trasformazioni a livello sociale.
Il bene immateriale della conoscenza è divenuto l’elemento discriminante per il benessere sociale ed economico, presupposto fondamentale ai fini della comprensione e del governo della complessità e dell’imprevedibilità dei nostri giorni … Noi tutti siamo chiamati a cercare, elaborare, acquisire informazioni, accedere e fare uso di saperi, intesi come un nuovo capitale che determina la maggiore o minore libertà, autonomia, inlcusione sociale. Nella knowledge society, la conoscenza non può più configurarsi come mera trasmissione di saperi e frutto di elaborazione individuale .. al contrario !! la pluralità di conoscenze e dei contesti di apprendimento (formali, informali e non formali) , la contestualizzazione dei processi di apprendimento – che pone l’accento sulla soggettività e intersoggettività dell’esperienza delle conoscenze stesse e sul loro “essere agite” in un contesto individuato da luoghi, spazi e relazioni sociali – la conoscenza intesa come processo “in progress” in una società “pedagocizzata” che nel suo essere luogo di relazione/comunicazione fra soggetti e ambiente, diviene terreno di conoscenza, frutto di un sapere condiviso e di una elaborazione collettiva … tutti questi divengono elementi fondamentali per affrontare le sfide dei nostri tempi.
Per essere protagonisti occorre dimostrare innovatività, flessibilità, disposizione al cambiamento e alla reinterpretazione di noi stessi attraverso disposizioni alla proattività e all’autopoiesi .. è necessario esprimere (oltre i confini disciplinari) attitudini, saperi, saper fare, saper essere, saperi taciti (come li ha definiti Polanyi), capacità di problem solving, capacità contestuali… e poi essere in grado di sviluppare, gestire e organizzare tali fattori in modo strategico … in sintesi essere competenti nelle svariate situazioni e ambiti.
Un rapido excursus sulle principali teorie e modelli pedagogici che hanno interpretato la Conoscenza può contribuire a visualizzare “con un colpo d’occhio” l’evoluzione nel modo di concepire questo costrutto e l’apprendimento, e intuire le ripercussioni sulle modalità e gli strumenti della comunicazione (educativa/formativa) nei differenti contesti …
 

Ma la knowledge society non sarebbe tale se non avessimo assistito al grande sviluppo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (TIC), che prosegue senza sosta, stupendoci con innovazioni sempre più utili, divertenti e stimolanti dal punto di vista cognitivo, riferendoci con quest’ultimo termine ai processi intellettivi, alla dimensione motivazionale nonché affettivo-emotiva interdipendenti strutturalmente fra loro (Bruner).
Non sono certo una novità le tecnologie dell’intelletto per la comunicazione (rif. “Tags: media e conoscenza”, Cecchinato, 2009) … dall’articolato linguaggio orale dell’Homo sapiens, attraverso le prime simbolizzazioni grafiche del pensiero (pittogrammi), all’alfabeto e alla scrittura, e poi la stampa da Gutemberg in poi … l’invenzione dei mass-media dell’area audio-visiva (fotografia, cinematografia) e delle telecomunicazioni (telegrafo, telefono, radio) … e poi la Televisione … tutti questi artefatti hanno forgiato in profondità il pensiero dell’umanità, modellato le nostre strutture mentali (Kerckhove), cambiato il nostro modo di pensare e rappresentare la realtà, e sono stati a loro volta condizionati dall’uso sociale che di essi è stato fatto.
E poi è arrivata l’era dei computer, della digitalizzazione, della miniaturizzazione elettronica, della rete Internet con il Web 1.0 e 2.0, della multimedialità , dell’ipertestualità attraverso il linking, della ipermedialità…
Ecco perché oggi si parla di un ulteriore paradigma epistemologico ⬇
Le nuove TIC hanno rivoluzionato rapidamente la conoscenza: l’ipertesto collega pensieri, idee, nodi di significato, secondo un modello reticolare (non più lineare); i contenuti vengono continuamente aggiornati (non più un sapere fisso, rigido), si ramificano (anziché essere strutture chiuse); nella dimensione multi-ipermediale si integrano una pluralità di codici linguistici, elementi grafici, funzionalità, risorse diverse; sono possibili l’interattività, le associazioni della mente, l’estroflessione dell’associazione di idee, il pensiero multiprospettico, intuitivo, proiettato verso il futuro; si trasformano stili, linguaggi e strategie interpretative e partecipative; si sviluppano capacità di multitasking cognitivo; il sapere viene costruito, interpretato, criticato, discusso, trasformato grazie alla flessibilità e fluidità offerte dalle TIC; le conoscenze vengono condivise e validate attraverso le interconnessioni; il consumatore diventa prosumer perché è in grado di generare contenuti (user generated content); si passa da una comunicazione secondo il modello “da uno a molti” (up-bottom - unidirezionale) al modello uno-a-uno oppure molti-a-molti (tipico dei social media), terreno di una vera e propria rete cognitiva.
Per le nuove generazioni “native digitali”, ma anche e necessariamente per i cosiddetti immigrati digitali” un po’ più attempati (!), è facile zigzagare fra termini quali: Wiki e Wikipedia, blog, risorse “open source”, social bookmarking, folksonomy, slideshare, tag, feed, social network, “creative commons”, hackability, mash-up, forum, chat, flickr, youtube, facebook, myspace, twitter, google+, linkedin, wordpress, foursquare, CMS (Content Management System), PLE-Personal Learning Environment (per l’integrazione dell’apprendimento formale e informale), ecc., ; e ancora dispositivi mobili quali smart phone, tablet pc, schermi multi-touch, APP … l’elenco delle TIC è davvero esteso e si arricchisce di giorno in giorno di nuovi media, e di vecchi media che vivono nei nuovi perché “le nuove tecnologie creano nuovi ambienti per le vecchie tecnologie”(McLuhan) .
Ne risulta una conoscenza che è sempre più distribuita tra attori, situazioni, contesti, problematiche, linguaggi, strumenti, artefatti culturali; e un ambiente tecnologico, in cui si fondono comunicazione pubblica e privata, le barriere spazio-temporali si annullano, la dimensione personale e professionale si confondono, così come si intersecano le opportunità di apprendimento agite nei diversi contesti – formali, non formali o informali.
 
 

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