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giovedì 14 aprile 2016

Metacognizione: pensare il pensiero

Metacognizione è una parola interessante.

Rimanda a un concetto ancora più interessante, che riguarda un’attività interessantissima. Peccato che sia la parola, sia il concetto, sia l’attività risultino meno frequentati di quanto dovrebbero.

Provo a rimediare.

La parola, prima di tutto. Unisce la preposizione greca ‪μετα- (che significa, tra le altre cose e in questo caso, “oltre, dopo”) e il termine cognizione, che sta per conoscenza, o per complesso di informazioni e conoscenze.

La parola metacognizione viene impiegata in ambito specialistico, psicologico o educativo ed è poco diffusa: se la cerco con Google trovo solo 52.000 risultati. Se cerco metafora i risultati sono più di 7 milioni. Se cerco metabolismo sono più di 19 milioni.

Metacognizione indica una capacità che è, per quanto ne sappiamo, esclusiva degli esseri umani: quella di auto-osservare la propria attività di pensiero e di riflettere sui propri stati mentali.

In altre parole: esercitare la metacognizione vuol dire pensare a come e perché stiamo pensando proprio quello che stiamo pensando, nel modo in cui lo stiamo pensando.

È, dicevo, un esercizio interessante.

I primi studi sulla metacognizione, che risalgono alla fine degli anni ’70, riguardano i processi inconsci attivati dagli studenti migliori: quelli che sono in grado di risolvere problemi in modo efficace e di sviluppare un pensiero indipendente e che, nella sostanza, sanno “guidarsi da soli” nello studio. Individuano due grandi ambiti della metacognizione:

– il saper distinguere i diversi processi mentali: percepire quanto esiste o accade intorno a noi, focalizzare l’attenzione su singoli elementi, ragionarci sopra, ricordare.

– il capire come si svolgono questi processi: cioè che cosa succede nella nostra mente quanto percepiamo, o quando stiamo attenti a qualcosa, o quando pensiamo a qualcosa, o quando ricordiamo qualcosa. Questo ci aiuta a valutare l’efficacia di ciascun processo, a orientarlo e a migliorarlo.

Oggi sappiamo che i bambini possono esercitare forme rudimentali di pensiero metacognitivo già attorno ai 3 anni, che questa capacità cresce molto entro i 6 anni e che può essere migliorata evocandola, diventandone consapevoli ed esercitandola.

Il sito Edutopia ci conferma che la metacognizione può essere sviluppata anche negli studenti più giovani, e che un buon modo per iniziare è proprio definire il termine “metacognizione”, illuminandolo con una metafora semplice come “prendere la guida del proprio cervello”.

Altri suggerimenti interessanti per addestrare gli studenti alla metacognizione si trovano sul sito dell’associazione di educatori ASCD. Eccone alcuni: accendere l’attenzione non solo su che cosa, ma su come gli studenti stanno imparando. Condividere gli obiettivi di apprendimento con gli studenti. Pensare “ad alta voce”, in modo da permettere agli studenti di comprendere le strategie di pensiero “esperte” dell’insegnante e di farle proprie. Oppure incoraggiare gli studenti a riflettere su come si sono organizzati per ottenere un determinato risultato.

Una rassegna degli studi sulla metacognizione a cura di Pearson, il maggior gruppo editoriale del mondo nel campo dell’educazione, ci offre qualche altra informazione notevole. Per esempio: tutti noi possediamo teorie tacite sul modo in cui ragioniamo, ma non ci facciamo caso, spesso non ne siamo neanche consapevoli, non le organizziamo in un sistema strutturato e quindi non ne traiamo alcun vantaggio.

E ancora: la metacognizione è connessa sia con la capacità di esercitare il pensiero critico (analizzare i dati, valutarli, prendere decisioni), sia con l’apertura mentale e quindi con la creatività. E poi: la metacognizione è connessa anche con la motivazione, cioè con l’energia interiore che ci spinge a fare le cose nella consapevolezza che, se ci applichiamo, riusciremo a farle bene. Ne abbiamo parlato di recente anche qui, su NeU.

Tutto questo ci dice che sviluppare la metacognizione può essere importante a scuola, e non solo a scuola. Dopotutto, conoscere meglio i nostri processi di pensiero significa conoscere meglio noi stessi, le risorse che possiamo mettere in campo, i punti di forza e di debolezza. E poter imparare a usare meglio tutte le nostre risorse.

Credo che, anche da adulti, valga le pena di coltivare la metacognizione. Per esempio, interrogandosi sul perché si fanno certe scelte (ehi: interrogarsi è diverso dal rimuginarci sopra!), o sugli elementi a partire dai quali si affrontano problemi o si formulano giudizi.

Ma anche leggere romanzi, guidandoci a conoscere i pensieri, le motivazioni, le scelte dei personaggi, può aiutarci a scoprire qualcosa in più del nostro pensiero non solo come lettori, ma come esseri umani (quasi sempre) pensanti.

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