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mercoledì 28 agosto 2013

Mooc, le università americane scommettono sui corsi online


27 AGOSTO 2013
C’è aria di novità all’apertura di questo nuovo anno accademico negli Stati Uniti, in particolare dal campus delGeorgia Institute of Technology. Questo rinomato politecnico meglio conosciuto come Georgia Tech lancia infatti in questi giorni un nuovo master biennale in computer science organizzato interamente online grazie alla piattaforma di e-learning fornita dai Mooc, i Massive Open Online Courses. Il corso, gestito in collaborazione con AT&T e Udacity, una delle aziende pioniere del settore, offre un titolo di studio equivalente a quello conferito agli studenti che frequentano di persona ma a una frazione del prezzo: soli 6.600 dollari contro 45.000 (o 21.000 per i residenti di questo stato del Sud degli Stati Uniti).
Questa prima fase dell’iniziativa sarà limitata solo ad alcune centinaia di giovani selezionati dall’università e dai suoi sponsor, ma la volontà è, in linea con il principio ispiratore dei Mooc, di aprire le iscrizioni a tutti coloro che siano minimamente qualificati a seguire i corsi, che i partecipanti si trovino negli Stati Uniti o in qualsiasi altra parte del mondo.
Si tratta qui della più recente evoluzione nel settore dell’e-learning, che in varie forme esiste negli Stati Uniti già da circa quindici anni. Altre università offrono titoli di studio online, ma con modalità e costi molto simili a quelli tradizionali. L’esperimento lanciato da Georgia Tech, invece, dando il proprio avvallo ufficiale ai Mooc, poco interattivi perché pensati per una grande moltitudine di studenti-spettatori online, è destinato a incoraggiare ulteriormente l’adozione di questo genere di corsi da parte del sistema educativo istituzionale.
In questo senso, ad aprire le danze è stato, ancora prima di Georgia Tech, l’American Council on Education (Ace), che a febbraio ha selezionato cinque Mooc – due della Duke University, due dell'University of California Irvine e uno dell'University of Pennsylvania ma tutti gestiti da Coursera, un’altra delle aziende specializzate nel settore – e ha raccomandato a tutte le università del Paese di riconoscere all’interno dei propri corsi di laurea i crediti ottenuti dagli studenti che li abbiano completati.
“Negli Stati Uniti c’è la necessità urgente di educare un numero molto maggiore di cittadini di quanto non stiamo facendo ora, quindi abbiamo bisogno sia che le università funzionino a pieno ritmo sia di sviluppare altre piattaforme – dice Cathy Sandeen, vice presidente responsabile per l’Innovazione di Ace – In questo senso i Mooc possono essere d’aiuto”.
Naturalmente l’introduzione dei Mooc ha già generato mille controversie: sulla loro qualità, ad esempio, che alcuni esperti del settore ritengono insufficiente soprattutto per via della mancanza di interazione con i docenti; e sull’elemento di discriminazione economica che questi corsi rischiano di iniettare nel già fin troppo diversificato panorama dell’istruzione universitaria in America. Il timore è che i titoli di studio più prestigiosi, ottenuti di persona frequentando il college, saranno in futuro appannaggio solo degli studenti più ricchi, e che tutti gli altri si dovranno accontentare dei Mooc e dei più miseri diplomi universitari che conferiscono.

Ora c’è chi è convinto che l’integrazione dei Mooc nell’attuale sistema accademico, con tanto di crediti trasferibili e titoli di studio riconosciuti, rappresenti un passo in avanti proprio nel senso di dare ufficialità a questi corsi online, svincolandoli dall’immagine di corsi di serie B di cui godono oggi. Altri, però, temono invece che quest’ultima trasformazione rischi di rovinare quel poco di buono che c’è nei Mooc, ampliandone invece gli aspetti negativi.
“Sono un grande fan dell’online learning ma non è per tutti – dice Tony Bates, esperto dell’interazione tra tecnologia e educazione e frequente commentatore delle ultime innovazioni del settore – I Mooc sono un ottimo strumento per chi ha già un’istruzione e vuole continuare a apprendere anche da adulto, ma non in sostituzione dell’università”.
È inoltre sempre più diffusa tra gli esperti la sensazione che i college americani, in particolare quelli pubblici che dipendono da scarsi finanziamenti statali, vogliano fare propri i Mooc (o piuttosto l’ibrido scelto da Georgia Tech di corsi comunque a pagamento ma fortemente scontati) al fine di chiudere i buchi di bilancio, a fronte di un elettorato che vuole pagare meno tasse possibili. Stanno quindi insorgendo in tutto il Paese contro questo nuovo uso dei Mooc i professori, in particolare quelli a contratto, che già guadagnano pochissimo per insegnare e non hanno nessuna garanzia rispetto alla sicurezza del proprio impiego. Il pericolo naturalmente è che, se i Mooc dovessero rivelarsi un successo, le università pubbliche decidano di liberarsi di quanto più personale possibile, con un impatto devastante sui professionisti del settore, sulla ricerca e naturalmente anche sulla qualità dell’educazione offerta – replicando nella formazione secondaria l’uragano provocato a suo tempo dalla diffusione di Internet nel mondo del giornalismo.
Per il momento, però, i Mooc sono ancora in fase iniziale e la loro integrazione nel sistema universitario tradizionale sta avendo un successo limitato. “Le ultime ricerche ci dicono che l’uso dei Mooc per ottenere crediti universitari non è particolarmente diffuso – nota Samantha Adams Becker, direttrice per la Comunicazione presso il New Media Consortium - anche tra gli studenti di liceo prossimi al diploma e quelli già al college, ovvero i gruppi demografici più direttamente interessati a questo dibattito, solo il 26% pensa che i Mooc siano una buona idea”. Piuttosto che accogliere con entusiasmo e acriticamente ogni genere di Mooc, prosegue la studiosa, è invece importante estrapolare dai modelli in uso quelle innovazioni che possono in futuro favorire un genere di interazione accademica in cui l’apprendimento può essere condotto anche in maniera diversa dalle lezioni, dagli esami e dalle tesine di oggi. “Tra le nuove tendenze nell’ambito dei Mooc che penso sia importante seguire elencherei l’impiego di ambienti virtuali simili ai videogiochi, l’uso analitico di dati e informazioni sulle performance degli studenti raccolti in tempo reale e l’adozione di materiale didattico adattivo, capace di rispondere alle esigenze specifiche dello studente – conclude Adams Becker – tutti strumenti che contribuiscono a personalizzare le modalità di apprendimento a livello individuale”.

Valentina PasqualI http://www.unipd.it/ilbo/content/mooc-le-universita-americane-scommettono-sui-corsi-online

venerdì 2 agosto 2013

Media Education e Cittadinanza

Cittadinanza attiva: una definizione
Con l’espressione “cittadinanza attiva” si è soliti indicare la partecipazione consapevole di una persona alla vita politica e il suo pieno inserimento nella rete di diritti e doveri che sono costitutivi dell’essere cittadino.

Perché fare Media Education.

Secondo Pier Cesare Rivoltella (Media Education, Carocci, 2001), fra i maggiori esperti di M.E. in Italia,la necessità di educare ai media si fonda su tre ordini di considerazioni:

Alfabetico: se oggi la trasmissione culturale e l’interazione sociale si realizzano in buona parte attraverso i media gli individui non possono fare a meno di conoscere i loro linguaggi e di utilizzarli.
Metodologico: se, come è vero, i media si fanno luoghi di produzione e promozione culturale, il sistema formativo (scuola, famiglia, educatori) non può continuare ad usare solo i metodi tradizionali di mediazione culturale: ad essi vanno affiancati i nuovi.
Critico: l’educazione ai media non intende fornire agli individui solo competenze tecniche, essa mira congiuntamente a sviluppare una consapevolezza culturale: dunque saper usare i media ma anche saper interagire con essi in maniera riflessiva e responsabile.
L’urgenza di tale intervento è giustificata inoltre da altre due considerazioni:
ü  La constatazione che i media inducono rilevanti trasformazioni al contesto socio-culturale: trasformazioni generalmente percepite nella loro valenza negativa e dunque intese quali minacce di traumatici cambiamenti in seno alle comunità sociali, cambiamenti che possono favorire la scomparsa di forti identità nazionali in favore di una sempre più diffusa omologazione delle masse, o che accompagnano l’accesso alla comunicazione con una accresciuta ricchezza interna al paese, oppure al contrario che sottolineano la condizione di arretratezza e povertà nei Paesi esclusi dai sistemi di comunicazione di massa.
ü  La concezione dei media quali sistemi di rappresentazione della realtà, una rappresentazione che si teme non essere sempre veritiera ma guidata da scelte ideologiche o da obiettivi strategici, di comunicazione e di mercato.
ü  Ancora a proposito del perché dedicarsi all’educazione ai media, Len Masterman, (“Teaching the Media”, Routledge, London, 1985) fra i maggiori teorici della Media Education, nel 1985 individua 7 ragioni fondamentali:
ü  La pervasività dei Media. grande spazio che i media occupavano nella vita dei giovani. Nei 12 anni della scuola primaria e secondaria: 11.000 ore erano trascorse nelle aule scolastiche a fronte di 15.000 passate davanti alla tv, oltre alle 10.500 date alla popular music. Un tempo più che sufficiente per ottenere un vero e proprio curricolo di apprendimento, come si è già osservato.
ü  I media costituiscono un’industria delle coscienze Non sono neutrali. Comprano audience per venderla ai pubblicitari. Impongono modi e stili di vita. Controllano economia e politica. Masterman paragona il controllo di una radio o televisione locale al possesso di un castello lungo un fiume o nella vallata durante il medioevo. Si tratta del controllo di un  territorio; nel caso dei media del controllo delle “coscienze”, cioè dei potenziali consumatori (dei prodotti pubblicizzati dai media) e dei cittadini (da cui ci si aspetta il consenso elettorale).
ü  I media sono una formidabile fabbrica delle notizie secondo le rigide regole dell’agenda setting. (sono loro che stabiliscono ciò che è rilevante per la comunicazione nella società) o del gate keeper (sono loro i guardiani che filtrano le informazioni che diverranno di dominio comune). La multinazionale delle agenzie di stampa fornisce e “media” la stragrande maggioranza delle notizie che troviamo sui giornali, alla radio e in televisione. Per  quali interessi? A favore di chi? E a danno di quali gruppi? Che cosa viene “lasciato passare” e che cosa non verrà diffuso? La scuola dovrà aiutare gli alunni a leggere criticamente i giornali.
ü  Esiste uno stretto rapporto tra ME e democrazia. L.Jospin, ministro dell’educazione nazionale del governo francese agli inizi degli anni ‘90, a conclusione del Colloquio dell’Unesco a Toulouse (1990) sulle nuove tendenze della Media education a livello mondiale, affermava: “Non c’è democrazia senza partecipazione, non c’è cittadinanza attiva senza formazione, non c’è formazione senza informazione, cultura, consapevolezza critica. Se vogliamo che i media servano la vita democratica di un paese, dobbiamo partire da un approccio democratico ed educativo ai media nella scuola. La scuola è necessaria”
ü  L’importanza dell’audiovisivo nella vita moderna. La nostra società è in qualche modo una società dell’immagine; viviamo avvolti in un flusso continuo di suoni e immagini. I giovani in particolare avvertono il fascino della comunicazione audiovisiva. Si tratta di un linguaggio che deve essere decodificato ed anche usato nelle esercitazioni scolastiche.
ü  La privatizzazione dei media: self media, new media, Internet. La stanza del giovane è diventata in molti casi una piccola centrale di comunicazione in collegamento con tutto il mondo. Il “villaggio globale”, la “piazza del mercato”, l’“areopago” sono ormai di casa e il ragazzo d’oggi è un abile regista che sa scegliere, dosare, integrare i vari media che ha a disposizione per i suoi interessi personali (Così viene rilevato nell’ultima ricerca del prof. M. Morcellini, 2000a).
ü  Dobbiamo educare i giovani per il futuro e il futuro appartenere al mondo della comunicazione e in particolare alla comunicazione mediata (Thompson, 1998; Mattelart, 1998).

ü  Oggi la crescente digitalizzazione e globalizzazione dei media, la più grande diversificazione dell’offerta, i problemi valoriali ed etici che essa pone, ripresentano e confermano le ragioni che fanno della  Media education un compito imprescindibile della scuola e dell’educazione, oggi (cf Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, Etica della comunicazione, Roma, 4 giugno 2000).
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