E' legittimo attendersi che, nel giro di una decade, gli studenti - anche quelli internazionali - potranno laurearsi online selezionando una serie di corsi delle più prestigiose università mondiali direttamente dal proprio laptop. Un pacchetto di corsi che include il meglio dell'accademia americana, da Stanford a Yale, dal MIT a NYU. Il presupposto chiave è che nel ventunesimo secolo, l'università, intesa come luogo fisico e concreto, si reinventa come servizio, luogo post-geografico, accessibile 24 ore su 24 da chiunque e da qualunque luogo del mondo. In questo senso, le iniziative digitali dell'Ivy League statunitense rappresentano il punto di arrivo di un processo di diffusione della cultura accademica che si è concretizzata in esperimenti di grande successo come OpenCourseware (MIT) e iTunes U, senza dimenticare il brillante lavoro svolto da Salman Khan con la sua Khan School. Il rivoluzionario progetto di Khan ha ispirato, tra i tanti, Sebastian Thrun, docente di Stanford e co-inventore delle automobili automatiche di Google, che quest'anno ha lasciato il college californiano per lanciare Udacity, una start-up che si propone di assumere i top talenti nell'ambito dell'educazione per offrire lo stato-dell-'arte dei corsi online. Ciò che accomuna Coursera e Udacity è l'imperativo di garantire l'accesso alle lezioni a tutti gli studenti a costo zero. In altre parole, si tratta di progetti open e non-profit, decentralizzati e flessibili.
La
buona notizia è che la qualità e quantità dei corsi online è aumentata
enormemente rispetto ai primi esperimenti nel settore dell'e-learning,
caratterizzati da una tragica incompetenza pedagogica di fondo e da limiti
tecnologici non indifferenti. Il vero ostacolo, oggi come ieri, è di natura
politica, non tecnologica. Nel momento in cui gli studenti potranno convertire
i crediti "virtuali" accumulati seguendo le lezioni gratuite in
crediti "reali", in veri e propri "diplomi" - ed è solo
questione di tempo- assisteremo a un vero e proprio cambio di paradigma nel
settore dell'educazione universitaria. L'epicentro di questa rivoluzione
copernicana è il Nord America. Le ragioni sono numerose, ma per semplificare ci
limitiamo ad osservare che il sistema universitario americano è il più
dinamico, professionale ed avanzato del mondo. Lo conferma il recente studio di
Universitas 21, un network globale di ricerca universitaria
che misura il livello qualitativo delle istituzioni accademiche mondiali. Il
report pubblicato (link al file
PDF) qualche settimana fa ha preso in esame le istituzioni pubbliche
e private di 48 paesi mondiali, valutandole sulla base di parametri quali
risorse (investimenti pubblici e privati), output (l'impatto della
ricerca svolta dalle varie istituzioni), connettività (la capacità di
collaborare con altre nazioni) ed ambiente (la diversità dei campus e
opportunità offerte agli studenti). Le venticinque nazioni leader nel settore
dell'educazione sono:
Gli
Stati Uniti dominano in settori quali la ricerca, risorse ed impatto extra-accademico.
Non è una sorpresa, ma la performance dell'Italia è pessima su quasi tutti i
fronti (unica eccezione: investimenti statali). I risultati dello studio
parlano da soli:
Questi
dati sono particolarmente preoccupanti perché una nazione che non investe in
formazione di qualità è una nazione senza futuro. La tecnologie digitali
potrebbero offrire al Belpaese un'importante opportunità di crescita e
sviluppo. Ovviamente, la conditio sine qua non è che nella stanza dei
bottoni dell'accademia italiana ci siano leader in grado di a) comprendere e b)
massimizzare il potenziale pedagogico offerto dalle nuove tecnologie, M.O.O.C.
in primis.
La
domanda sorge spontanea: ci sono?