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mercoledì 25 luglio 2012

Rapporto Isfol 2012


28.06.2012 – Le competenze per l’occupazione e la crescita, questo il filo conduttore che tiene insieme le riflessioni svolte dall’Isfol nel Rapporto annuale 2012, come di consueto volto a fornire un’ampia panoramica delle dinamiche che caratterizzano il mercato del lavoro e i sistemi dell’istruzione e della formazione.Ad ospitare la presentazione del Rapporto è la Sala della Regina della Camera dei Deputati, con la partecipazione del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero e del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo. Tra i relatori anche Gianfranco Simoncini, Assessore alle Attività Produttive, Lavoro e Formazione della Regione Toscana e Gianni Rossoni, Assessore al Lavoro, Istruzione e Formazione della Regione Lombardia. L’apertura dei lavori è affidata al Direttore Generale dell’Isfol Aviana Bulgarelli, mentre le conclusioni vengono svolte dal Commissario straordinario Matilde Mancini.Il Rapporto Isfol 2012 pone al centro dell’attenzione il capitale umano, risorsa chiave per vincere la sfida della competitività e della ripresa economica. E segnala un rischio, quello che la carenza, l’obsolescenza e l’inefficiente utilizzo di competenze possa ridurre il nostro potenziale di sviluppo e determinare esclusione sociale, allontanandoci dai principali competitors internazionali.In questi anni l’investimento in capitale umano ha subito un rallentamento. Mentre in alcuni paesi europei la difficile congiuntura economica ha stimolato produzioni, servizi e occupazioni ad alta intensità di conoscenze, cioè ad alto valore aggiunto, in Italia è l’occupazione nelle professioni elementari ad essersi incrementata. Nell’ultimo quinquennio i lavori ad alta specializzazione sono diminuiti dell’1,8%, contro un aumento medio in Europa del 2%. Uno dei paradossi del nostro paese è che abbiamo una bassa percentuale di occupazione in professioni caratterizzate da elevate competenze (il 18% contro il 23% della media UE) e contemporaneamente tali lavori qualificati sono svolti solo in parte da lavoratori con istruzione terziaria (il 53,6% contro il 70,6% della media UE).Tutto ciò ha ridotto i vantaggi retributivi di chi ha i livelli di istruzione più alti. Mediamente in Europa le retribuzioni dei lavoratori con istruzione terziaria superano del 48,3% quelle dei lavoratori con istruzione secondaria, mentre in Italia tale valore si ferma al 36,2%.L’Isfol sottolinea come l’investimento in istruzione continui ad essere pagante sotto il profilo lavorativo. Tra il 2007 e il 2010 gli occupati sono diminuiti in Italia di 350 mila unità. E’ il risultato di una contrazione di circa 850 mila persone con al massimo la licenza media o il diploma triennale e un incremento di oltre 500 mila con titolo di studio medio-alto. Il numero di chi è in cerca di occupazione è aumentato di 596 mila unità, con una variazione del 40% circa, ma i più penalizzati sono stati coloro che hanno titoli di studio bassi (nel 2011 il tasso di disoccupazione dei laureati è pari al 5,4% contro il 10,4% di chi possiede la licenza media).Eppure anche in questo caso rimane un gap con l’Europa. Dal 2007 gli occupati con istruzione terziaria sono aumentati in Italia del 10% mentre la media comunitaria è pari al 14% (Germania +17,8%).I sistemi dell’istruzione e della formazione sono in fase di progressivo miglioramento. Tra le criticità, rimane un tasso di dispersione dei giovani 18-24enni ancora alto: il 18,2% contro il 13,3% della media UE. Inoltre, se sul fronte dell’istruzione secondaria il nostro paese sta recuperando posizioni, la diffusione dell’istruzione superiore presenta livelli ancora bassi e tassi di crescita inferiori a quelli medi comunitari.Un aspetto positivo è lo sviluppo della formazione tecnico-professionale, che continua a registrare un incremento, in controtendenza con i fenomeni di licealizzazione che avevano caratterizzato l’ultimo decennio (+1,5% iscritti agli istituti professionali e +0,4% iscritti agli istituti tecnici, licei -1,9%). Si evidenzia anche il riuscito innesto della filiera formativa dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale, che ha visto aumentare di 7 volte il numero degli studenti in 7 anni. L’apprendistato rimane uno dei principali strumenti per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: il numero di trasformazioni in contratti a tempo indeterminato risulta in aumento e cresce l’offerta di formazione a carattere formale. Quanto alla formazione degli adulti, l’Italia è ferma al 5,8%, una percentuale superiore solo a quello della Grecia.
Comunicato stampa
Rapporto Isfol 2012
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Intervista al Direttore generale dell'Isfol

martedì 3 luglio 2012

Scuola, università e formazione professionale, ecco su cosa

Ragazzi e ragazze allo sbaraglio sul mercato
WALTER PASSERINI
Possiamo fare come lo struzzo e nascondere la testa in quei 98mila nuovi occupati in più a maggio, ma è una pagliuzza rispetto alla trave della disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni che ha polverizzato ogni record (36,2%) ed è lì a rivelarci impietosamente tutti i nostri fallimenti. Né può consolare gli avventizi neofiti del mercato del lavoro quel 10,5% di disoccupati under 24 rispetto alla loro fascia di età, se lo confrontiamo con l'altra faccia della medaglia dell'occupazione, che sono i giovani occupati tra i 15 e i 24 anni, da tempo in discesa libera, che hanno raggiunto drammaticamente quota 18,6%. Vuol dire che più di quattro giovani su cinque sono fuori dal mercato e dal processo produttivo, nel migliore dei casi studiano o sono nella schiera dei Neet (Not in employment, education or training) o hanno rinunciato a cercare. Maldestri campioni del made in Italy sostengono che noi siamo meglio messi in Europa, che anche gli altri soffrono.I giovani senza lavoro nel Vecchio continente sono oltre 5,5 milioni. Se in Italia oltre un giovane sui tre che cercano un lavoro è disoccupato, ci battono solo Grecia e Spagna, i campioni dello spread (oltre il 50% di disoccupazione giovanile), mentre i più virtuosi sono i tedeschi, gli austriaci e gli olandesi, compresi tra l'8 e il 9% di disoccupazione giovanile. Forse dovremmo mandare i nostri governanti degli ultimi 10-15 anni a studiare le politiche deipaesi più amici dei giovani e capiremmo che in quei paesi gli under 25 sono la priorità. In Italia invece sono il segno dell'impotenza, la cartina di tornasole della cattiva volontà di una classe dirigente di gerontocrati, legati come cozze ai loro privilegi. Certo l'anagrafe alla fine vincerà, ma intanto lo spreco di speranze, di risorse e di futuro grida vendetta e dovrebbe farci vergognare. Eppure i rimedi, il pentagramma delle cose da fare è sotto gli occhi di tutti. Le voci dell'agenda si chiamano scuola, università, orientamento, lavoro, culture. Il distacco della scuola dal mondo del lavoro è abissale. Certo vi sono esempi eroici di contatto tra mondi che non si amano, ma sono ancora una goccia rispetto ai bisogni. Stage, concorsi, alternanza, apprendistato sono strumenti che in altri paesi rappresentano la norma, mentre in Italia suscitano lo scherno degli scettici. Le università per legge dovrebbero fornire servizi di placement ai propri studenti, ma quelle che lo fanno davvero si contano sulle dita di due mani. L'orientamento è una cosa troppo seria per essere lasciato nelle mani delle famiglie, degli insegnanti o delle compagnie di giro, che stipano i ragazzi in sale cinematografiche altrimenti vuote e infliggono loro lezioni sul nulla.I disorientati salgono in cattedra e pontificano sermoni che sono elio allo stato puro, mentre i ragazzi non vedono l'ora che squilli la campanella. Dovremmo cominciare a capire che l'orientamento si divide in tre, dovremmo ricominciare da tre bussole per i giovani: una riguarda l'orientamento scolastico, una l'orientamento professionale, l'altra la relazione d'aiuto con i singoli soggetti, che non sono categorie ma persone. Invece, cinicamente, mandiamo i giovani allo sbaraglio, con la scusa che tanto prima o poi dovranno imparare a nuotare, o a camminare con un cappuccio in testa. Un malsano sadismo pedagogico si sostituisce alla relazione d'aiuto, che richiede fatica, rispetto, competenza. Infine, il lavoro. Che dire di una riforma del lavoro che giustamente punta le sue carte sull'apprendistato quando le regioni sono inadempienti e si trincerano dietro un federalismo di facciata. Che dire del modello culturale della formazione professionale in Italia che, unico paese in Europa, la divide in 20 sottosistemi sordi, tra loro gelosi e corporativi.Il risultato è quello di allontanare i giovani dal lavoro e dal lavoro manuale, da quelle tradizioni industriali e artigianali che continuano a reclamare posti vacanti. Che dire di una visione del lavoro ottocentesca, che riesce a immaginare solo mestieri da subordinati e dipendenti. Mentre il futuro è degli intraprendenti, di coloro che se lo costruiranno, di quelli che, nonostante i troppi cattivi maestri, preferiranno fare da soli.

http://www3.lastampa.it/scuola/sezioni/news/articolo/lstp/460983/